Premessa: preferirei parlare di altro, di frivolezze e menate varie, ma proprio non riesco. Sarà che ci tengo.
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Il New York Times ci definisce un "Paese surreale, da soap opera", opinione comune a quanti ci vedono dall'estero, incapaci di spiegarsi quanto sta accadendo. C'è da capirli, fatichiamo anche noi a spiegarcelo, non senza dover ricorrere a lunghe disanime di come si è arrivati allo stato attuale che possiamo riassumere nella constatazione, avvilente, di un Paese scollegato tra le sue Istituzioni e il sentire comune, ma ancor più scollegato nei suoi stessi componenti, in noi, o almeno nella maggioranza di noi. Uno scollegamento che nasce da lontano, da antichi modi di vivere non solo il potere, sempre visto come una cosa subita e mai come una cosa appartenente a tutti, ma anche e soprattutto il proprio quotidiano. Una nazione ipocrita, abituata a vizi privati e pubbliche virtù talmente estese da essere diventate modo di essere normale. Lo si può riscontrare nelle piccole cose, nella vita familiare come lavorativa, e il non riconoscerlo, o il giustificarlo, rende tutti complici. Una nazione indulgente verso i propri componenti abituati a barcamenarsi tra realtà diverse, nelle grandi come nelle piccole. Viviamo realtà parallele da anni, le abbiamo sempre vissute, perchè dunque stupirsi se si giustifica sempre e comunque il potente di turno quando mostra qualità differenti da quelle sbandierate, accontentandosi dei soli risultati materiali che ha raggiunto? E' ciò che facciamo anche col capoturno o col collega, magari dispotico ma bravo nel suo lavoro, di cui non sopportiamo magari le prese di posizione ma che non ci impedisce di andarci a bere una birra assieme. Di una persona in questi casi si scinde il suo comportamento sul lavoro da quello della vita di tutti i gorni, senza fermarsi a riflettere che uno stronzo sul lavoro il più delle volte lo è anche nella vita privata, o perlomeno tale dovrebbe essere considerato. Non è così invece. Anche queste sono piccole deroghe, eccezioni su leggi non scritte se non nel comportamento morale ed etico che chiunque dovrebbe avere nel rispetto di sè, che accumulate hanno finito per derogare cose molto più grandi, accettando realtà che magari deploriamo ma che in ogni caso sappiamo di riconoscere bene.
Credo sia arrivato il momento per ognuno, per chiunque, di interrogarsi, di cercare dentro se stessi chi si è, cosa si è diventati, chi si vorrebbe essere. In mancanza di guide autorevoli farlo noi (gli intellettuali ormai non abitano più qui: avete sentito una sola presa di posizione da parte di qualche mente che non fosse già schierata apertamente?). Prendere una posizione definita e seguirla, smettere di giustificare comportamenti che non accettiamo, farlo sul serio, anche andando contro a ciò che si è sempre pensato o fatto o votato. Parlare, sperando che la parola e il comportamento abbiamo ancora un effetto su chi ascolta e guarda, fottersene se certe prese di posizione verranno catalogate come moralismi: sempre meglio essere moralisti che stronzi. Bisogna farlo ora, perchè non c'è più tempo. E' ora che bisogna prendere parte a una una lotta che non si gioca sopra le nostre teste, si gioca nella nostra testa.
Il New York Times ci definisce un "Paese surreale, da soap opera", opinione comune a quanti ci vedono dall'estero, incapaci di spiegarsi quanto sta accadendo. C'è da capirli, fatichiamo anche noi a spiegarcelo, non senza dover ricorrere a lunghe disanime di come si è arrivati allo stato attuale che possiamo riassumere nella constatazione, avvilente, di un Paese scollegato tra le sue Istituzioni e il sentire comune, ma ancor più scollegato nei suoi stessi componenti, in noi, o almeno nella maggioranza di noi. Uno scollegamento che nasce da lontano, da antichi modi di vivere non solo il potere, sempre visto come una cosa subita e mai come una cosa appartenente a tutti, ma anche e soprattutto il proprio quotidiano. Una nazione ipocrita, abituata a vizi privati e pubbliche virtù talmente estese da essere diventate modo di essere normale. Lo si può riscontrare nelle piccole cose, nella vita familiare come lavorativa, e il non riconoscerlo, o il giustificarlo, rende tutti complici. Una nazione indulgente verso i propri componenti abituati a barcamenarsi tra realtà diverse, nelle grandi come nelle piccole. Viviamo realtà parallele da anni, le abbiamo sempre vissute, perchè dunque stupirsi se si giustifica sempre e comunque il potente di turno quando mostra qualità differenti da quelle sbandierate, accontentandosi dei soli risultati materiali che ha raggiunto? E' ciò che facciamo anche col capoturno o col collega, magari dispotico ma bravo nel suo lavoro, di cui non sopportiamo magari le prese di posizione ma che non ci impedisce di andarci a bere una birra assieme. Di una persona in questi casi si scinde il suo comportamento sul lavoro da quello della vita di tutti i gorni, senza fermarsi a riflettere che uno stronzo sul lavoro il più delle volte lo è anche nella vita privata, o perlomeno tale dovrebbe essere considerato. Non è così invece. Anche queste sono piccole deroghe, eccezioni su leggi non scritte se non nel comportamento morale ed etico che chiunque dovrebbe avere nel rispetto di sè, che accumulate hanno finito per derogare cose molto più grandi, accettando realtà che magari deploriamo ma che in ogni caso sappiamo di riconoscere bene.
Credo sia arrivato il momento per ognuno, per chiunque, di interrogarsi, di cercare dentro se stessi chi si è, cosa si è diventati, chi si vorrebbe essere. In mancanza di guide autorevoli farlo noi (gli intellettuali ormai non abitano più qui: avete sentito una sola presa di posizione da parte di qualche mente che non fosse già schierata apertamente?). Prendere una posizione definita e seguirla, smettere di giustificare comportamenti che non accettiamo, farlo sul serio, anche andando contro a ciò che si è sempre pensato o fatto o votato. Parlare, sperando che la parola e il comportamento abbiamo ancora un effetto su chi ascolta e guarda, fottersene se certe prese di posizione verranno catalogate come moralismi: sempre meglio essere moralisti che stronzi. Bisogna farlo ora, perchè non c'è più tempo. E' ora che bisogna prendere parte a una una lotta che non si gioca sopra le nostre teste, si gioca nella nostra testa.
13 commenti:
Ecco una nazione ipocrita è una definizione che, ahimè, è praticamente perfetta :(
Per me etica e morale coincidono solo quando la morale è laica; non nego la gravità dei fatti nè tanto meno la giustifico, mi pare però molto ipocrita far leva SOLO sugli ultimi scenari che sono venuti a galla.. sono 15 anni che succedono cose gravissime. Come mai la partecipazione alla lotta, per alcuni,comincia solo ora?
Volendo fare un discorso serio e banale, le democrazie moderne funzionano quando la richiesta di democrazia parte dal popolo, quando c'è una vera domanda generale di democrazia che produce una rivoluzione o qualcosa di simile, una roba tendenzialmente violenta e poco nobile che però in un qualunque paese sveglia la gente e produce la mentalità adatta, mentalità che poi viene puntualmente tramandata attraverso la cultura storica fatta dai vincitori, altra roba poco nobile che però funziona e mantiene viva nel tempo l'istanza democratica.
Qui in Italia, invece, la democrazia l'hanno importata gli americani, in quali, negli anni '40 di inizio guerra fredda, avevano delle esigenze precise. Per loro non era essenziale che la democrazia qui funzionasse davvero, noi non dovevamo necessariamente sviluppare una vera, luminosa, esemplare coscienza civica: nell'ottica internazionale, noi italiani dovevamo solo NON diventare satelliti dell'URSS, non diventare completamente comunisti, e per conseguire questo scopo agli americani sarebbe andato bene qualunque gioco sporco, qualunque accordo sottobanco, qualunque abominio pseudodemocratico adattato e incastrato a forza in una situazione difficile di quasi guerra civile, come era appunto l'Italia del dopoguerra.
Il resto è storia.
@ Baol: purtroppo.
@ Lipes: visto che il giocattolo ce l'hanno dato perchè non giocarci?
@ Patè: Che senso ha sapere da che parte viene una lezione etica o morale, se a dirlo è un comunista o un prete: guardare a chi dice le cose prima di sentire cosa dice è uno dei vizi italiani.
Riguardo al resto, non so a chi ti riferisci ma meglio tardi che mai, no?
Mi dispiace, ma non sono d'accordo.
Si perde il senso dei valori per cui lottare, c'è gente che vive sempre peggio da anni ormai ma chissenefrega e passa l'idea che poco conta se sei un mafioso, un corruttore e un ladro, basta che sei morigerato. Quali sono i valori giusti? e dopo, soprattutto, cosa c'è? io vedo il vuoto.
"Visto che il giocattolo ce l'hanno dato perchè non giocarci?"
Perchè ci hanno dato un giocattolo che è tipo le Lego o il Meccano, mentre noi per ora siamo tipi da televisione e Playstation.
Sarà un lavoro immane, caro Rouge, ma qui se non si parte dall'individuo, si continua a rimanere infognati in questa agonia.
Dobbiamo cercare di parlare - con calma e come ben dici tu, ascoltare senza pensare a chi pronuncia la frase, eliminando così il più possibile il pregiudizio.
Torniamo alla cultura, quella vera, abolendo la spazzatura/propaganda televisiva. Smettere di giustificare i comportamenti fasulli, amorali di personaggi che non si degnano di governare, ma vogliono soltanto tenersi la poltrona ...
Grazie per questo tuo post,
Lara
@ Patè: scusa ma non ti seguo. Non sei d'accordo su che cosa?
uno dei problemi più grossi come diceva Gaber è il Berlusconi in noi.
Ripartire dalla cultura, dall'istruzione, individuo per individuo per riformare ciò ch esi è perso
un saluto
Rouge, sulla morale dei preti ad esempio. Dovrebbero occuparsi delle anime, non dei corpi e alcuni se ne occupano un po' troppo, ne convieni?
@ Patè: io penso solo che a mettere continuamente delle pregiudiziali non se ne esce.
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