giovedì 10 maggio 2012

Il gioco dell'oca

Passeggiavo ieri sera per le vie e le piazze del piccolo posto dove ho trovato rifugio, ma piccolo è relativo, dipende tutto da dove arrivi. Sto riscoprendo il piacere di girare tranquillo, senza correre, senza dovermi guardare attorno continuamente, senza farmi travolgere dalle centinaia di volti che mi vengono incontro e che per natura ed abitudine guardavo, perché avrebbe potuto essere qualcuno che conosci, da salutare. In provincia è così, incroci la gente e la saluti, magari ci scambi due parole, anche inutili, ma necessarie. A Torino non accadeva quasi mai. A Torino la gente tira dritto, ma non è questione di Torino, anzi, Torino è una bella città, uno dei posti migliori dove stare, ma è che in città è così: un buon posto dove nascondersi facendo finta di stare in mezzo alla gente.
Sto riscoprendo il piacere di dormire senza rumori d'auto e traffico e sirene, di aprire le finestre e respirare aria (finalmente), di non vedere gente far la fila ai cassonetti d'immondizia alla ricerca di qualcosa da monetizzare, di stare seduto al bar senza che qualcuno ti chieda spiccioli o ti venda rose, qualcuno da non guardare in faccia, sia per levartelo di torno che per non sentirti in colpa. Piccole cose, per me importanti, che mi ripagano in piccolissima parte di ciò che ho perduto che è tanto, tantissimo.
Ieri sera poi ho reincrociato vecchi amici nella solita piazza di sempre, due parole, un saluto. La domanda, ma che ci fai qua? Faccio Neffa, ho risposto, è il ritorno del guaglione sulla piazza. E poi, dopo esserci messi al corrente delle ultime vicende di tutti, tutte più o meno simili, conclusioni tutte più o meno le stesse, ce lo siamo detti, cavoli, sembra il gioco dell'oca: tira i dadi e vai avanti, torna al punto di partenza, paga pegno e penitenza. Nel tentativo di giungere al traguardo.