Sono molto stanco. Non è facile. Non per me. O forse sì, è facilissimo, basterebbe riempirsi il quotidiano di cose da fare, pure quelle che non interessano, di gente da vedere, pure quelli che non interessano. Fare cose, vedere gente, non pensare, non ascoltarsi, scappare da sè. Parlare, di sciocchezze, di stronzate, di tutto tranne dell'unica cosa che preme. Identificarsi, in qualche idiozia, una qualunque, qualcosa che ti faccia credere di avere uno scopo, di avere una identità, che riempia i vuoti dell'anima. Sarebbe una soluzione. Ma non per me. Non è che puoi di colpo andare contro la tua natura. La mia natura, si scontra con quella altrui, mal si adatta, crea equivoci: non mi sono mai saputo vendere. Colpa mia. La gente scambia i miei stati d'animo per mal di vivere, non è così. Mai saputo farlo capire. "Ottimismo, ottimismo ci vuole", come se mancasse: cosa c'è di più ottimista nel pensare che in fondo va sempre tutto bene? Le difficoltà non mi hanno mai travolto, ma anche non me le sono mai nascoste. Le ho vissute. "Bisogna ridere, divertirsi, stare bene, stare bene, stare bene": ma vaffanculo! Diffidate di chi vorrebbe ridere sempre. Commetto errori, sempre gli stessi. Prendo come punto fermo una cosa che poi viene sempre disattesa dai fatti. Poggio tutto su terra fragile, che prima o poi cede e mi inghiotte. Ma è l'ultima volta. Ne prendo atto: quella cosa non esiste. Almeno, non esiste per me: non è nel mio cammino, inutile insistere. Quindi ricominciare, ancora una volta. Torno a casa, torno ai pochi che tengono a me senza chiedermi nulla in cambio, torno a me. Ricomincio, da tre.