domenica 28 febbraio 2010

Di palo in frasca

Un paio di settimane fa parlavo di fumetti e di collezionisti, evidentemente è periodo visto che è stato battuto l'altro giorno il record mondiale per l'acquisto di un singolo numero, il nr 27 della collana americana Detective Comics del maggio 1939 contenente la prima apparizione di Batman, frutto della fantasia di Bob Kane e Bill Finger. Un milione e settantacinquemila dollari la cifra sborsata, che supera il milione pagato tre giorni prima per il numero 1 di Action Comics del giugno 1938 contenente la prima storia di Superman degli autori Jerry Siegel e Joe Shuster, e surclassa il precedente record appartenente sempre alla prima storia dell'Uomo d'Acciao ma pagato "appena" 317.000 dollari.
Chi siano gli acquirenti non è dato sapere, visto che sono protetti dall' anonimato come i venditori del resto, ma è certo gente che non ha bisogno di soldi data la natura dell'acquisto, comunque sempre lontana dai 74,2 milioni di euro pagati a inizio di febbraio per una scultura di Giacometti, L'Uomo che Cammina, che è oggi l'opera d'arte più pagata al mondo.
Chi lo sa, magari è stato Nicholas Cage che si è riavuto dai recenti disastri finanziari (pare che non navigasse in buone acque) e ha ripreso a collezionare fumetti dopo che nel 2002 era stato costretto a disfarsene per raggranellare la modica cifra di 1,6 milioni di dollari. O forse è qualcuno tipo Samuel L. Jackson in Unbreakable, che non era malaccio come fumettone cinematografico. Più probabilmente non lo sapremo mai, come non sapremo mai i pensieri di chi ha compiuto gli acquisti, e questo un po' mi spiace.
Ora, c'è da dire una cosa, conosco cosa si prova ad avere in mano un numero raro. Per esempio un numero di Tex originale spillato non censurato e chi più ne ha più ne metta è diverso in tutti i sensi dalle ristampe successive, diversa la carta, diverso il formato, leggermente più grande, diverso l'odore e il peso. Averlo tra le dita provoca una strana sensazione, un misto di fanciullesca gioia e di soddisfazione egoistica, senza contare la sensazione tattile del solo toccare l'oggetto. Ma parliamo comunque di un fumetto che al massimo raggiunge la quotazione di qualche centinaio di euro, magari pure poche migliaia, e anche se la preoccupazione nel maneggiarlo è comunque alta non impedisce, con le dovute accortezze, di leggerlo e di visionarlo quanto si vuole.
Ma di una roba che hai pagato un milione di dollari, che cacchio te ne fai?
Impensabile mettersi a leggerlo come potremmo fare noi con qualsiasi altro giornaletto: rischi che ti si sgretoli tra le mani, che l'acido della pelle rovini la carta, che l'aria stessa la rovini e quindi, magari dopo una rapida occhiata al tutto, sei obbligato a sigillarlo e a tenerlo sotto teca, se non in cassaforte. Oltretutto, vista la cifra sborsata, non puoi manco vantarti apertamente di possederlo, altrimenti non si capisce l'anonimato della transazione. Insomma qua diventa davvero materia per psicologi e analisti.
Certo ci sono problemi più gravi, direte voi, ma a pensarci bene uno che sborsa milioni per accaparrarsi un fumetto non è molto diverso da chi si accaparra altre cose. Metti che invece di trovare godimento dal possesso di un giornaletto uno lo trovi nel possedere libri, o dischi, o video, o telefonini, o case, o case editrici, o televisioni, o catene di negozi, o banche, o istituti di credito, o semplice potere, o persino persone, o tutte queste cose messe assieme: non cambia poi molto, alla fine è solo senso del possesso, che fù certo prealessandrino ma che continua tuttora, in chiunque. E se sei legato a tutte queste cose, materiali, tanto da diventare poi quelle cose, perchè senza quelle non vivi bene, che razza di valore puoi mai dare alle persone in se stesse, se alla fine diventiamo ciò che possediamo? Che evoluzione ci può essere e che speranza in un uomo nuovo, se prima non ci si libera del desiderio di possedere sempre più beni e sempre più cose?
Uhmm.... devo smetterla di scrivere per associazioni di idee: tu guarda dove si arriva da un semplice fumetto. E poi dicono che non insegnano nulla.

venerdì 26 febbraio 2010

Meglio tardi che mai

Da quando non ho più la possibilità di ascoltare la radio al lavoro sono rimasto un po' fuori dalle novità musicali, novità per me ovviamente, e rimedio pescando qua e là da blog e siti vari, ma a volte anche uno spot pubblicitario stupido come quello del Pupone con la sua svampita consorte riesce a spingermi ad andare sul Tubo per fare una ricerca.
Dalle sonorità del pezzo cercato, molto anni sessanta anche se la chitarra sul ritornello mi suonava un po' troppo dura per l'epoca, pensavo di trovare qualcosa di vecchio, non Diana Ross e le Supremes, che hanno una voce inconfondibile, piuttosto qualcosa tipo le Ronettes, quelle di questo brano qui, poi ripreso e migliorato dai Ramones (anche i duri hanno un cuore!), oppure le Crystals di questo brano che mi richiama inevitabilmente questa scena.
Invece mi ritrovo in cuffia i Noisettes, gruppo inglese che avevo già casualmente ascoltato tempo addietro ma che non mi avevano particolarmente impressionato. Ma forse è solo perchè l'altra volta non avevo visto la loro cantante e bassista Shingai Shoniwa.

Noisettes - Never Forget You

mercoledì 17 febbraio 2010

Groove Armada - At the river (live)

Tempi cupi

Viviamo tempi cupi. Sotto casa c'è una processione giornaliera di gente che rovista nei cassonetti dell'immondizia, alla ricerca di chissà che da rivendere, spero non da mangiare. A poca distanza lavavetri insistenti ricevono insulti e dinieghi e, stazionati davanti a un supermercato, due rivenditori di fazzoletti e paccottiglia aprono la porta a chi sta uscendo con le sporte della spesa. Educatamente salutano e attendono che gli lasci qualcosa, a volte va bene, a volte male.
Intanto gli annunci di lavoro sono sempre di meno e sempre più esigenti, manca poco che per un posto da facchino ti richiedano una laurea in Logistica dei Trasporti e rido amaro, quando in fase di colloquio leccapiedi incravattati mi glorificano la Ditta, manco fosse loro: pensare con la Ditta, ragionare per la Ditta, diventare parte integrante della Ditta, vivere la Ditta, cazzo: la Ditta!
E poi sentire frasi idiote tipo "perchè la crisi è un'opportunità!", parole assurde come competitività e flessibilità, che in ultima analisi si traducono con mobilità e precarietà, e vedere i soliti noti cercare scappatoie per facili ricchezze svendendo quel poco di umano che ancora gli rimane. Viviamo tempi cupi e io provo distacco nel sentire i soliti discorsi di chi dovrebbe cercare di schiarirli, e sfiducia ormai in tutti coloro che hanno perso la strada anni fa e ancora faticano a ritrovarla, gente di sinistra che non sa più cos'è la sinistra.
Eppure sarebbe semplice, basterebbe guardare il fiume di merda che sta lentamente scorrendo a sommergere quella che per poco è stata una nazione e dire un no secco definitivo e duraturo, ergersi al di sopra di quella merda invece di restarne affascinati, elevarsi, e indicare la strada forte e chiaro. Invece no, garantisti, possibilisti, pronti al dialogo (con chi? perchè?), intrallazzati e preoccupati del poco come e forse più degli altri. Incapaci, alla fine, e a noi, che non abbiamo voce in capitolo, che sappiamo cosa vorremmo e a cosa aspiriamo, che pensiamo che in fondo basterebbe un niente, in tutto questo disastro tocca solo stare a guardare lo schifo che scorre. Come in riva a un fiume, ad aspettare che insieme al resto passi il cadavere del nemico.

domenica 14 febbraio 2010

Il Collezionista

In un'altra vita ho gestito da proprietario un negozio. Era un bel negozio, almeno a me piaceva, e vendevo, come mi capitava di pensare, roba inutile all'atto pratico ma utilissima per l'anima. Comprare fumetti a cosa ti serve, se non a farti bene all'anima, a ricollegare quella parte di te che vuole non pensare alle brutture, a mantenere vivo quell'io che vuole sognare e che si rifiuta di crescere, quella parte che vuole a tutti i costi rimanere adolescente, costi quel che costi?
Io li vendevo e contemporaneamente me ne cibavo. Era una figata assoluta, il più bel lavoro del mondo, durato poco, solo tre anni, ma ne è valsa la pena. Ho avuto tra le mani un sacco di bella roba, ho conosciuto un sacco di bella gente, era quasi tutta bella gente, e parecchi di loro vecchi clienti ancora li ho come amici. Sono stato fortunato in fondo.

C'era però una categoria di clienti, i collezionisti, che non potevo soffrire. Lo sono stato anch'io un collezionista forse, geloso come pochi dei miei "pezzi", ma ero molto giovane e per superare le insicurezze ci si aggrappa a qualsiasi cosa, poi però sono cresciuto e guarito, per fortuna!

Il Collezionista è quello che quando compra qualcosa è capace di esaminare l'oggetto delle sue mire per interi quarti d'ora, è attento a ogni leggerissima piega o graffio o sbavatura e gira e rigira tra le mani quello che agogna in maniera compulsiva, combattuto tra il desiderio di possederlo e la ricerca di un motivo che lo faccia desistere dall'affrontare la spesa, anche minima, perchè il Collezionista è talmente tirchio da far impallidire Arpagone, Ebenezer Scrooge e Zio Paperone messi assieme.

E' quello che assilla il povero venditore di domande relative all'oggetto, che si informa di tutto quello che lo riguarda, che conosce vita morte e miracoli di chi lo ha scritto sceneggiato disegnato, ma più che altro sa tutto della storia editoriale del bene agognato. Per il Collezionista non è importante il contenuto di ciò che compra, se è una bella storia o se è disegnata bene, è importante l'oggetto in sè, la sua forma, che deve essere immacolata, del contenuto non gli importa una mazza, l'importante è che il pezzo sia raro e più integro possibile.

E' un pazzo in definitiva, schiavo della sua ricerca di perfezione, e ne ho visti parecchi, venire più e più volte a visionare qualche pezzo raro, stazionare in prossimità di esso valutando il caso di acquistarlo o meno. Considerato che non mi è mai capitato, purtroppo, di avere in casa il primo numero di Tex Gigante Seconda Serie Spillato Edizione 1958 Aut 478 Non Censurato in condizioni da edicola, che magari può pure valere qualcosa, ma al massimo qualche numero uno originale di Dylan Dog o di Martin Mystéré (vabbeh pure qualche Piccolo Ranger basso numero, qualcosa di Pratt, delle splendide serie di Principe Valiant dei Fratelli Spada e di Tarzan della Cenisio), e quindi i prezzi erano piuttosto contenuti, non si capiva il motivo di tanta indecisione. Lascio da parte quelli che compravano due numeri dello stesso albo appena uscito di cui uno ad uso lettura e l'altro ad uso collezione, che comunque un piacere me lo facevano contando per due: non li capivo allora e non li capisco manco oggi ma, a nome di chi vende, grazie di esistere!
Oggi vendo per arrotondare fumetti sulla nota piattaforma di aste on line e ogni tanto qualche Collezionista mi ricapita. Come quello che per un fumetto dall'esorbitante cifra di 1,99 euro mi ha scritto quattro volte tra domande e raccomandazioni sulla cura della spedizione e, dopo che la merce è già partita da un pezzo, siccome non è indirizzata direttamente a lui ma ad altri, mi richiede nuovamente notizie sullo stato di conservazione del materiale!

La prossima volta a uno così, appena lo riconosco, giuro che glielo regalo 'sto cacchio di fumetto!

giovedì 11 febbraio 2010

Una buona notizia, finalmente.

A volte qualche buona notizia arriva a dire che le iniziative popolari possono ancora riuscire nell'intento di mettere un argine alla deriva di questo assurdo Paese.
La delibera di iniziativa popolare per impegnare la città a mantenere pubblici gli impianti e la gestione del servizio idrico è stata approvata l'altro giorno in Consiglio Comunale, portando alla modifica dello Statuto della Città di Torino (qui e qui). La notizia è stata rilanciata dal Blog di Beppe Grillo e da pochi altri organi di informazione. Sui grandi quotidiani non si trova neanche un rigo (almeno sulla rete, sul cartaceo non so).
Per una volta una firma messa e il freddo preso a manifestare è servito a qualcosa. Meno male.

mercoledì 10 febbraio 2010

Coerenza

L'8 novembre del 1987 mi recai a manifestare come tanti il mio dissenso sull'utilizzo dell'energia nucleare in Italia. Lo feci nella maniera permessa, ponendo una croce sull'abrogazione di tre norme in materia nucleare appunto, che se in teoria non significava dire sì o no alle centrali, di fatto era come se lo facesse, tanto che dopo il referendum la costruzione di alcune di queste in Italia venne interrotta e il progetto accantonato.
Oggi quel recarmi alle urne di 23 anni fa risulta essere stata una perdita di tempo e uno spreco di denaro pubblico, al solito. Dalle parti di Roma infatti hanno approvato con decreto i criteri per la scelta di nuovi siti per la produzione di energia elettrica nucleare e lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi da queste prodotte.
Lasciamo da parte il fatto che a me non interessa quanto siano diventate sicure oggi queste centrali, che non mi frega nulla se siano di terza quarta quinta ottava generazione, se hanno inventato nuovi sistemi per smaltire i rifiuti tossici, se hanno in progetto di spedirli sulla Luna o su Marte; lasciamo anche da parte il fatto che siamo in Italia, dove un'opera pubblica arriva a costare il triplo rispetto ad altri posti, dove le stesse opere pubbliche cascano dopo qualche anno come castelli di carte (vedasi terremoto dell'Aquila), dove è notorio il dissesto idrogeologico e ambientale: rimane che ho già detto no una volta!
Mica ho cambiato idea.

Piccoli cloni crescono

Uno sente 'sta roba alla radio e dice "Toh, è tornato Prince!".
Invece no, scopri che sono gli Ok Go.
Che dire, preferivo Prince.

martedì 9 febbraio 2010

Smog on the water

Da qualche parte ho letto che l'uomo si nutre di tre cose: cibo, aria e impressioni (qui un accenno). Beh, oggi come oggi siamo messi davvero male.
Il cibo è quello che è, non so voi ma ormai per risentire il sapore di un frutto o di un qualsiasi altro alimento devo fare uno sforzo di memoria e andare a pescare molto indietro negli anni, e non è raro stupirsi quando si mangia qualcosa che corrisponde realmente al gusto che ci si aspetta. Certo noi abbiamo preso delle abitudini completamente sbagliate, non sappiamo più abbinare un prodotto alla relativa stagione (qui e qui), abituati come siamo a vederli in bella mostra al supermercato in ogni periodo dell'anno, per cui ci stupiamo se i pomodori comprati in inverno sanno di nulla e hanno la consistenza di palline da tennis, però chissà perchè anche in estate spesso non è che siano granchè gustosi.
Per quello che riguarda l'aria siamo messi anche peggio, almeno qui in città. Respiriamo merda dalla mattina alla sera, causa le emissioni dovute sia all'elevato traffico di auto che agli scarichi dei camini, e la situazione è diventata talmente pesante che la scorsa domenica si è dovuto vietare tutto il traffico nell'intera città. Mi pare sia servito a poco.
Sull'ultimo aspetto del nutrimento umano, le impressioni, cioè i pensieri le emozioni e i sentimenti, stendiamo un velo pietoso, almeno in questo periodo. Dall'esterno arrivano quasi solo cattive notizie ed è davvero difficile mantenersi immuni alla marea di impressioni negative che ci si riversano addosso, basta sfogliare un qualsiasi giornale per rendersene conto. La soluzione starebbe nel fatto di isolarsi e lasciar filtrare solo quello che non ci può nuocere, ma è piuttosto complicato non reagire emotivamente a cose come (scelgo fra i tanti argomenti) la cessione ai privati dell'acqua pubblica. Insomma dopo averci levato l'aria tocca all'acqua, dopodichè davvero non vedo cosa rimanga.
Insomma, c'è di che pensare.

domenica 7 febbraio 2010

Fuga per la sconfitta

L'altra sera da Fazio ho sentito l'ex segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti parlare di morte del comunismo, di fine della sinistra, di fallimento del centrosinistra incapace di essere riformatore, secondo il Fausto per colpa dell'area centrista che trattiene e non permette. Parole che se dette da noi, simpatizzanti delusi, richiamano amarezza e rassegnazione, perchè sono cose che si dicono da sempre nella base, ma dette da chi è stato uno dei responsabili di quel fallimento richiamano solo rabbia e ulteriore impotenza. Fa incazzare anche il richiamo tardivo ad una nuova unità della sinistra, seppure sia l'unica strada percorribile in questo momento per tentare di rilanciare una idea di sinistra in questo Paese.
Quello che ho visto l'altra sera è un uomo che si porta dietro il peso della sconfitta, causata dalla sua stessa impazienza nel perseguire un ideale forse, e che forse oggi si rende conto della scelleratezza di alcune scelte fatte. Penso a certe scissioni, a quel primo governo Prodi, fatto cadere per darlo in mano a quel furbetto di D'Alema e a una coalizione ancora più centrista. Oppure a certe dichiarazioni fatte dallo scranno di Presidente della Camera, con l'unico risultato di indebolire ulteriormente una coalizione che si reggeva con lo sputo. La sinistra in Italia ha cominciato a morire in quelle scelte, magari inappuntabili dal punto di vista della dottrina, ma che apparivano incomprensibili ai più, dando l'idea neanche tanto sbagliata di un movimento incapace di poter governare con raziocinio e persino di poter essere utile allo sviluppo del Paese. Che poi le colpe fossero altrove in quelle coalizioni, in chi di riforme non voleva sentir parlare, è cosa che ha interessato poco il grande elettorato, ma è certo che le uniche due occasioni sono state sprecate malamente e la colpa maggiore sta nel fatto di non aver compreso che forse non si sarebbero più ripetute.
A Fausto Bertinotti, in un'epoca in cui nessuno si fa veramente da parte, c'è però da riconoscere il merito di aver mollato con la politica attiva, come da promessa fatta prima delle sciagurate elezioni di due anni fa. Lo facessero anche altri personaggi di quella che oggi viene scambiata per sinistra non sarebbe un grave danno, anzi.

Interpol - C'mere

martedì 2 febbraio 2010

lunedì 1 febbraio 2010

Ammirazione e stupore

Foto di Steve McCurry

Andare a una mostra per me è come vedere un film o leggere un libro. Difficilmente mi informo prima su quello che sto per vedere o leggere, mi accontento di avere una idea di massima e di presumere che quello che andrò a seguire potrà piacermi, dopodichè lascio all'opera stessa guidarmi nelle impressioni finali. Non cerco prima le informazioni perchè credo che una mostra venga allestita per trasmettere qualcosa allo spettatore, proprio come un film o un libro, per guidarlo in qualche modo e lasciargli alla fine "qualcosa", una impressione, un arricchimento, un moto d'animo. Immagino sia questo il motivo per cui le mostre vengono allestite e per cui richiedono un curatore che dia la propria impronta all'esposizione secondo la sua idea, che poi è quella in teoria che si vorrebbe trasmettere. Le critiche e le recensioni dunque le leggo a posteriori, dopo essermi fatto un giudizio personale su quello che ho visto.
Della mostra su Edward Hopper a Palazzo Reale di Milano non dico niente, se non che è un peccato dover guardare le sue opere in spazi troppo piccoli per godere della profondità che i suoi quadri più famosi trasmettono. C'era tanta gente in quelle sale e, almeno a me, questo toglie il gusto della visione, comunque sia bene o male si seguiva una certa logica nei passaggi del cammino artistico del pittore americano, e a parte qualche salto non proprio comprensibile, mi sembra che l'intera esposizione non avesse particolari pretese oltre al dare la possibilità di ammirare le opere esposte (splendidi gli acquerelli) e far immergere lo spettatore nel mondo hopperiano (incompleto, perchè mancavano gran parte dei quadri più famosi, ma va bene anche così). Se qualche pretesa l'aveva era lasciata allo spettatore la possibilità di cercarla o meno, senza per questo perdere nulla della visita.
L'altra esposizione, molto più bella, delle fotografie di
Steve McCurry, qualche pretesa in più l'aveva, come abbiamo scoperto a posteriori.
Esposte in un'ala del Palazzo della Ragione, che uno si chiede se si chiami così perchè a Milano stanno cercando una ragione per restaurarla che mi pare caschi un po' a pezzi (no, non è quello
il motivo), le 240 immagini del fotografo americano sono sospese tra il pavimento e una serie di strutture in legno (a cui non si da molto peso) a riempire l'intera sala, in un ordine difficilmente comprensibile a prima vista (ma pure a seconda e terza vista, dico io), con differenti angoli di esposizione che costringono lo spettatore a vagare senza un nesso logico tra le varie fotografie, passando da un ritratto a una scena di guerra a un paesaggio, senza possibilità di seguire uno schema qualsiasi, temporale o tematico che sia. Insomma una esplosione di immagini che arrivano da tutte le parti, illuminate magnificamente (questo devo riconoscerlo), ma che mettono confusione per quanto siano tutte bellissime.
Sui tralicci da cui pendono le foto si leggono a fatica, perchè non proprio visibilissime data la quantità di elementi presenti, delle scritte tematiche, da cui si desume che un senso logico tutto quanto ce l'abbia, capire quale sia però è complicatissimo per la difficoltà materiale, dato il notevole afflusso di persone, di seguire le immagini secondo i raggruppamenti indicati. Al termine della visita, caotica anche per la quantità di gente che affolla la piccola sala, rimane il dubbio di aver saltato qualcosa, di non aver visto tutto, nonostante frequentemente si ritorni sui propri passi a rivedere. Insomma, bellissime le foto, bellissime le luci, ma dell'allestimento non ci si capisce niente.
Lì per lì pensi che avendo a disposizione una sala microbica per la quantità di materiale da esporre, si sia optato per i pannelli "volanti" in maniera da non soffocare ulteriormente l'ambiente con pareti e divisori che avrebbero reso claustrofobiche anche le immagini, nella speranza che qualcuno riuscisse comunque a seguire i temi trattati e a trovare da sè una consequenzialità. Una scelta dettata dalla contingenza e, in questo caso, risolta brillantemente (nei limiti della condizioni), ma pur sempre una scelta obbligata.
Scopri invece leggendo le parole della curatrice Tanja Solci e dell'allestitore Peter Bottazzi, intanto che le immagini erano suddivise in sei categorie, e che l'intento era di far immergere lo spettatore nel mondo di McCurry senza dargli connotazioni spazio-temporali in una specie di viaggio nella sua memoria e nel suo mondo. Per fare questo si è dovuto eliminare le pareti perchè "mai avremmo potuto relegare le immagini alle pareti come compassate signorine disposte sul perimetro della sala, in attesa di un invito alle danze", e che "le immagini sono sospese da terra perchè frutti dell'uomo, alberi dai molti frutti che rappresentano l'uomo e del suo lavoro, il suo essere divino", nientemeno.
Sarà, ma a me sembra un po' come quando cucini senza avere a disposizione gli ingredienti giusti, ti ingegni e ti viene fuori una roba comunque commestibile e alla fine, nel presentarla ai tuoi commensali, dici a tutti che la volevi proprio così. Qualcuno che ti fa i complimenti lo trovi sempre.