giovedì 30 dicembre 2010

Scusa se è poco

Dice salva cinque cose di quest'anno che se ne va, e lo dice come se lui ce le avesse già belle e pronte da sfornare, in bella sequenza e ordine d'importanza, mentre io invece me ne resto a far mente locale e a cercare di distinguere qualcosa in questa annataccia che valga la pena di non finire al macero. Che poi fai in fretta a dire salva cinque cose, cinque cose solo mie o cinque cose in generale? Che se devono essere solo mie mi sa che ce la togliamo in fretta dato che a malapena arrivo a due, forse!
Dice guarda fai tutte e due, e io mi chiedo come cacchio gli vengano in mente 'sti giochini da tredicenne quando ne ha almeno trenta in più, ma poi lo invidio un po', che significa che è rimasto ragazzetto dentro e bene gli fa, mi pare, ma comunque tutte e due è troppo e le cose in generale lasciamole fare ad altri, io mi limito alle mie.
E dunque, mumble mumble, cinque cose. Pare facile tirarle fuori in quest'anno delle balle che non vince l'oscar del peggiore solo perchè il 1999 quello sì, che è stato un anno delle balle, e se mi tiravi fuori 'sto giochetto allora rischiavi non solo un vaffa ma pure qualcosa di solido in accompagnamento, e comunque dai, mi ci provo, cinque cose.
La prima..... il viaggio in Normandia. Beh cavoli quello sì lo salviamo, che girare in macchina con la mia bella a visitare posti nuovi è sempre una cosa che mi piace parecchio, e peccato non poterlo fare più spesso.
Poi... poi.... ah, un paio di esperienze lavorative, finite in vacca ma come esperienze restano e allora teniamocele buone che non si sa mai.
Salvo un po' di cose che ho scritto, che al momento non han portato nulla ma anche qui non si sa mai come vanno le cose, e peccato che io mi butto giù se non vedo subito risultati e quindi salviamo pure l'aver capito un po' di limiti, che pure se non vuol dire averli superati è già buono averli inquadrati.
E ovviamente salvo il rapporto con la mia bella, che regge nonostante periodi un po' così, nonostante attorno a noi le cose girino un po' così, nonostante io sia un po' così, ma per fortuna ci son solo io a esser così, e dunque salvo lei prima ancora di viaggi e lavori e limiti e scritti.
Ecco, alla fine gliele ho tirate fuori, cinque cose cinque, e dire che tutto subito non me ne veniva neanche mezza da salvare in quest'annataccia delle balle. E potrei continuare, guarda te, se mi sforzo arrivo pure alle minuzie: quell'improvvisata dall'amico giù in provincia e le risate che ci siam fatti, quella mostra vista in primavera e quell'altra questo inverno e le altre viste in mezzo, quelle camminate in montagna a tutte le stagioni pure se son state poche rispetto ad altri anni, quella mattinata in auto poco tempo fa, col cielo limpido l'aria pulita musica sotto e la sensazione che le cose girano, sempre. E se ti pare poco, beh questo è stato.

Dave Brubeck - Take Five

martedì 28 dicembre 2010

Il problema di non averci cazzi

Vi prego, ditemi che è andata così. Doveva uscire un disco nuovo per via di contratti, clausole, menate del genere, ma lui non avendoci più cazzi di fare robe nuove, ché le ultime mica gli son riuscite tanto bene, non aveva niente da dare in stampa. Per cui la casa madre gli fa fare l'ennesima raccolta di suoi brani riarrangiati e questa volta hanno l'ideona di fargli fare dei duetti con nomoni tipo Mina e Mario Biondi e Franco Battiato e pure J-Ax (minchia, pure J-Ax!) e di ingaggiare fior di suonatori del calibro di Mel Collins e Omar Hakim e Matthew Garrison e Rachel Z che chissà da dove gli han mandato le loro tracce.
Ma lui continuava a non averci cazzi perchè cos'è, la terza, la quarta raccolta di brani riarrangiati che esce e mica puoi far uscire l'ennesima raccolta riarrangiata senza metterci qualcosa di inedito, "ché la gente mica è fessa a comprarsi tutte le volte la stessa canzone" avrà detto, e lui il pezzo inedito mica ce l'aveva da dare in stampa e, soprattutto, proprio non ci aveva cazzi! Che non ce li aveva si vede da come gli son venuti, 'sti riarrangiamenti, che sembra che ogni strumento suoni una roba per conto suo senza tenere conto di quello che fanno gli altri, ma cosa vuoi, son gli inconvenienti di quando non ci hai cazzi e li metti in conto. Comunque bisognava risolvere il problema del pezzo inedito, del pezzo originale, pure se di pezzi originali è dall'89 che non ne fa (porcaccia miseria!), che se si vuol vendere almeno tre copie di 'sta cavolo di raccolta il pezzo inedito e originale bisogna metterlo e far uscire il tutto prima di Natale as-so-lu-ta-men-te!
Per cui in fretta e furia ha preso i rimasugli dei brani che i fior di musicisti gli hanno mandato per gli altri pezzi, li ha mischiati a muzzo con On the Road Again (chi cacchio vuoi che si ricordi dei Canned Heat? manco dei Rockets che l'avevano rifatta si ricordano, figurati dei Canned Heat!), ci ha messo su il solito minestrone di italnapolinglese (a 'sto giro senza napoletano e strizzando pure l'occhio: "Io dico quello che voglio": Tsè!) e ha tirato fuori 'sta cacata di pezzo che le radio, essendo stato lui un tempo Pino Daniele (quel Pino Daniele, cazzo!), per forza di cose mandano in onda (vaccaccia boia!).
Ecco come deve essere andata, una semplice banale questione di non averci cazzi di fare una cosa e doverla fare per forza. Vi prego, ditemi che è andata davvero così.

domenica 26 dicembre 2010

Le piccole soddisfazioni della vita

Ok, è passato. Natale intendo, per cui quelli di noi incazzati, amareggiati, disillusi, delusi, tristi, rancorosi, che hanno scritto post incazzati, amareggiati, disillusi, delusi, tristi, rancorosi, possono tirare un sospiro di sollievo e pensare che a questo giro al vecchio panzone rosso e bianco non gliela abbiamo resa facile, anzi, glielo abbiamo proprio messo in quel posto! Quel vecchio trippone con renne trainanti pensava di trovarci come sempre di questi tempi, ipocritamente disposti a bontà a buon mercato, aperti a rasserenarci l'animo come sempre, propensi a spendere se non spandere come sempre, sorridenti e festanti, ingordi e generosi, tombolanti e sbevazzoni, come sempre, da che Natale è Natale. Pensa come deve esserci rimasto male, a trovarci invece incazzati, amareggiati, disillusi, delusi, tristi, rancorosi!

giovedì 23 dicembre 2010

Ciao ciao, gabbia di matti.

A una persona intelligente come Rafa Benitez sono bastati pochi mesi, sei per l'esattezza, per capire che uno come lui in Italia è fuori posto. Si è fatto in maniera di mandare via una persona comunque decisa e attenta alla gestione di sé (alcuni dicono fin troppo), ma pur sempre un tecnico preparato, capace, vincente anche, educato, rispettoso. Qualità, queste ultime, di cui da noi importa veramente troppo poco e non sono usate per definire il giudizio su una persona.
Da noi, e non solo nel calcio, vanno bene i Mourinho, gli arroganti presuntuosi, preparati certo, vincenti anche, ma soprattutto gran comunicatori. Quelli furbi, che hanno i giocatori più forti del mondo e riescono a far passare il messaggio che se si vince è solo merito della propria guida, non della squadra. Che vincono una Champion's League a botte di catenaccio degno degli anni '60, difendendosi nelle gare importanti in nove più il portiere e segnando gran gol in contropiede, facendo credere però di aver fatto giocare il miglior calcio del mondo (il calcio più utile, Mou, non il migliore). Quelli che la partita la giocano principalmente fuori campo, alimentando tensioni prima delle gare più sentite, lagnandosi in anticipo di presunti torti arbitrali, prendendosela con qualcuno, chiunque, non importa chi sia, purchè si riesca a creare un conflitto noi/loro utile ai propri interessi. Quelli egoisti, che vinci tre tornei in un anno, fai l'impresa che più storica non si può e la sera stessa annunci il tuo addio, rovinando la festa a tutti e prendendosi ancora una volta i riflettori su di sé. Quelli che alla fine vengono stranamente rimpianti, mentre bisognerebbe ringraziare la dea Eupalla per esserseli levati dai coglioni e aver riacquistato un po' di tranquillità.
Da noi i Benitez (come i Bearzot, gli Zoff, gli Ancelotti) non vanno bene. Troppe poche parole fuori tono, troppo lavoro svolto professionalmente pur tra mille difficoltà, troppo mantenere un rispetto per i ruoli sempre e comunque, troppa consapevolezza che alla fine si sta parlando solo di calcio e non di massimi sistemi. Era evidente lo stupore del tecnico spagnolo per le polemiche sorte ad appena tre mesi dal suo arrivo senza che si tenessero conto delle difficoltà oggettive in cui stava operando: infortuni, mancati acquisti, una eredità pesante. Sembrava profondamente stupito per la serietà con cui gli si ponevano le domande nelle interviste, come se si stesse parlando dei destini del mondo e non di un gioco, miliardario quanto vuoi ma pur sempre un gioco. Deve aver pensato (realizzato) di essere finito in una gabbia di matti, e non stupisce che se la sia data a gambe levate, non senza prima essersi assicurato una milionaria buonuscita però. In fondo il matto è mica lui.

martedì 21 dicembre 2010

Un saluto al Vecio

Quella dell'82 fu la più bella estate che un appassionato di calcio, specie se quindicenne, potesse desiderare. Sole, caldo, interminabili partite a pallone anticipando e ripetendo quelle vere dell'undici guidato da Bearzot, noi in campetti improvvisati dappertutto, in parrocchia come in strada come nei campi appena fuori il paese, loro in quegli stadi favolosi di Spagna che finimmo per impare a memoria. Era il primo mondiale, anzi Mundial, che i miei amici ed io seguivamo in tutto quello che accadeva, guardano parlando e discutendo, chè in quelli precedenti si era ancora troppo piccoli per gustarsi le partite appieno e in quelli dopo, anche quelli vinti, si diventò troppo grandi perchè il calcio mantenesse il fascino che aveva da ragazzini. Quell'estate per noi il calcio aveva ancora il sapore genuino delle sfide e grazie all'età non ci fregava nulla delle solite (avremmo imparato poi) polemiche italiote sul fatto che il Vecio aveva lasciato a casa Beccalossi e Pruzzo. Più che altro non le capivamo: se l'uomo con la faccia da pugile e la pipa sempre a portata di labbra li aveva lasciati a casa qualche motivo c'era, lui era il C.T., e a noi tanto bastava. Alla fine ebbe ragione lui e ci rese tutti campioni del mondo. Grazie Enzo.

Campioni del Mondo 1982

martedì 14 dicembre 2010

Io se fossi B.

Ecco, io se fossi B. ora andrei a dimettermi.
Ho incassato una fiducia, risicata, comprata forse, che non mi serve a nulla, almeno non a governare. Ho dimostrato che il fronte avversario non è compatto come si pensava, e poco importa se alla base delle defezioni ci sono motivazioni che hanno più della cozza sullo scoglio che di carattere politico. Poco importa se non è una vittoria politica, è una vittoria, portata a casa in una finale, e delle partite ci si ricorda solo del risultato non quanti pali hanno colpito gli avversari. Ho anche messo in tasca un'arma formidabile, poter continuare ad accusare gli altri dei miei fallimenti governativi, i finiani traditori in questo caso, e con quest'arma posso presentarmi nuovamente al voto certo che come minimo partirei alla pari nella competizione. Perchè un altro reincarico no, non lo accetterei, potrei dimettermi solo se il vecchietto mi assicura che si andrebbe a nuove elezioni e di fare la fine di Prodi, vivacchiare in attesa di cadere, non ci penso neanche.
Sì, sarebbe una bella mossa dimettermi. Un tocco calcolato di responsabilità verso il Paese e verso il "popolo sovrano": ridargli la parola affinchè metta nuove croci sul mio nome, ora che ha capito chi vince e chi perde. Altre armi nella faretra, io responsabile e interessato solo ai problemi della nazione, io per la stabilità, gli altri per il caos: elezioni, un nuovo referendum su di me ora che posso permettermelo, che posso nuovamente far credere di averlo vinto. Una nuova partita, da giocare con nuovi-vecchi amici, contro vecchi-nuovi nemici, un'altra sfida da vincere, per altri anni di immunità. Quanti? Bah, poi si vedrà.

mercoledì 8 dicembre 2010

Elsidì saunchì?

Si era lì, la mia bella un amico ed io, alla Pellerina nel 2007 all'ultima edizione veramente decente del Traffic, per assistere, questa la scusa ufficiale, allo spettacolo dei Daft Punk, una roba ipermegatecnologica con questi due franzosi con casco in testa su una piramide tutta lucette, che a vederli da lontano potevano tranquillamente essere due piciu qualunque a far finta di suonare con una base sotto e di sicuro nessuno se ne sarebbe accorto. Dico la scusa ufficiale, ché io in realtà quella sera c'ero andato più che altro per assistere a un altro gruppo, quello meno famoso che si esibiva prima e che tra i loro pezzi ne aveva uno che legava il filo con chi sarebbe venuto dopo, e ci avevo provato a dirlo, che guarda che sono molto meglio gli Lcd Soundsystem, ma la cosa si era arenata sull' Elsidì saunchè? di risposta, ragion per cui avevo smesso, dopo un po', di dire che il pezzo che passava in radio non era proprio rappresentativo di quello che in realtà facevano, un miscuglio stranissimo di elettronica rock pop dance con brani lunghissimi e ripetitivi, che poi era proprio il particolare che me li faceva piacere. E quindi fui l'unico tra la compagnia quella sera a farmi prendere da quegli accordi di piano ripetuti all'infinito, da quel ritmo sempre uguale del basso e della batteria, dalla chitarra disturbata e disturbante, dai suoni di tastiera messi lì ad amalgamare il tutto e dare un senso al crescendo vocale del loro brano migliore, quello che altri, pure chi non ti aspetti, han provato a rifare, ma non è che siano venute esattamente la stessa cosa, o perlomeno a me non pare.
Poi lo so, che James Murphy creatore e leader della band alla fine non ha inventato niente di nuovo, che in fondo ha preso un po' da qua e un po' da là per metter su un suono e uno stile che sembrasse almeno un poco originale, e va a sapere se c'è davvero riuscito ché le opinioni in merito sono varie e discordanti, e so anche che l'ultimo disco non è che sia poi tutta 'sta gran cosa, ma non è che si può sempre azzeccare tutto e comunque un paio di robine non sono proprio da buttare, almeno a livello multimediale, ma alla fine della fiera, tutto questo giro di parole, è solo per dire che a me la notizia che si siano sciolti è una cosa che non può che dispiacere. Ecco, è tutto quello che volevo dire.

LCD Soundsystem - Home

domenica 5 dicembre 2010

Costanti incertezze (o certezze incostanti)

Poco tempo, sono affaccendato in altro, un altro ancora incerto e confuso, tenuto in stand-by in attesa di capirci meglio e prendere una decisione definitiva. Questo spazio a volte risente del mio vissuto incostante, vive e si popola di parole a seconda del mio umore e del mio tempo e invidio a volte altri spazi, costanti, metodici, puntuali nel pubbicare post articoli opinioni, opinioni che però poi, dopo un po' che li frequento, mi appaiono anno dopo anno sempre uguali a se stesse e dunque anche chi pubblica costantemente metodicamente puntualmente mi appare sempre uguale a se stesso. E noto differenze, tra la mia incostanza sempre presente e quella altrui sempre apparentemente assente, che portano a domande a cui rispondo in modo diverso a seconda dell'umore e del mio tempo. Certo è già importante porsele le domande, e penso a volte che il costante metodico puntuale questo non lo permetta, se lo fa è solo per trovare conferma di ciò che si pensa da sempre, e solo i cambiamenti aprono veri spazi di discussione di sè. Io ne ho troppi, altri ne hanno pochi, alla fine è tutto in media, se ci pensi.

24 Grana - La costanza

domenica 21 novembre 2010

Girovagando

Si viaggiava in macchina, io lato passeggero, e passava in radio il pezzo nuovo di un tizio assieme a un altro tizio che tempo addietro, milioni di anni fa, faceva pure roba buona e ancor prima... cazzo che roba che faceva (almeno così sembrava: si era giovani), mentre ora a furia di annacquo è arrivato a sta merda che il tipo che guida alla mia sinistra nella sua infinita benevolenza continua a definire "rap", anzi "hip hop", e aggiunge che lui proprio non li sopporta, i rapper. E io, che prima che si decidesse a passare dal cd alla radio mi ero dovuto sorbire per un trenta minuti buoni Lucio Battisti (Lucio Battisti! Dio mio, Lucio Battisti!), io mi ripasso mentalmente qualcosa che sì, puoi chiamare hip hop a buon ragione, ci mixo sopra questo benedicendo chi ne pensato il crossover e penso che mi piacerebbe trovarmi una volta a parti invertite, con me alla guida. Così, giusto per fargli vivere il finale di una scena come questa.

House Of pain - Jump Around

sabato 13 novembre 2010

Scelte

Poniamo che vi arrivino due proposte di lavoro, e poniamo che non stiate lavorando. La prima ha le seguenti condizioni (e decidete voi se sono pro o contro):

- lavoro bene o male conosciuto (sì, insomma, non proprio ma tanto son sempre le stesse balle)
- posto che potrebbe diventare fisso in una azienda
- a tre quarti d'ora da casa (considerando il traffico torinese, in realtà sono solo 12 km)
- dieci ore al giorno più sabato mattino eventuale (quindi 50/55 ore settimanali)
- orario 7,30-12,30 / 13,30-18,30, quindi sveglia alle 6 e rientro alle 19,30 (più o meno)
- dedizione particolare al lavoro (qualche responsabilità insomma)
- paga base 1.100 euro (straordinari esclusi, e avete visto che di base sono tanti. Quelli di voi sindacalizzati non si scandalizzino per la richiesta anomala sull'orario: ormai va così!)
-ambiente malsano (molto malsano: odore persistente di solventi, resine, tinture)
- impressione sui datori di lavoro: abbastanza positiva (non fosse altro perchè è gente che parla chiaro)
- investimenti da parte mia: nessuno.

La seconda prevede invece:

- attività di vendita (mai fatta prima)
- lavoro bene o male in autonomia
- marchio ottimo, destinato a una fascia di clientela medio alta
- in giro per la regione (con auto propria)
- orario variabile dalle 9 alle 20 (ora più ora meno, pausa pranzo di un paio d'ore, non fosse altro perchè non ci sono clienti in quell'orario)
- paga base sconosciuta (portafoglio clienti ancora da definire, il resto tutto a provvigione)
- impressione sui datori di lavoro: abbastanza positiva, ma meglio non averne (sono venditori in fondo, per cui non sai se c'è da fidarsi)
- l'attività prevede un investimento non richiesto ma per me necessario (la mia auto non durerà ancora molto, bisognerà aprirsi una partita iva).

Ecco, premesso che io credo di aver già deciso, voi cosa fareste?

giovedì 4 novembre 2010

Prendi lui per esempio

L'ImperAttore Obama dopo la scoppola elettorale di medio termine: "La gente è profondamente frustrata perchè l'economia non si riprende abbastanza in fretta, perchè non vengono creati abbastanza velocemente nuovi posti di lavoro" (qui). Neanche da noi se è per questo, eppure in giro non vedo tutto questo malcontento e il suo collega italiano continua ad avere (pare) il solito vasto seguito.
Per risolvere la faccenda forse Barack dovrebbe prendere esempio da chi è più vecchio e quindi raccontare più barzellette, avere più interesse per le belle donne (meglio se minorenni), prendersela con qualche minoranza, peggiorare un po' le sue frequentazioni, dire almeno una cazzata al giorno.
Qui da noi pare funzionare alla grande.

Aloe Blacc - I Need a Dollar (Live in Studio)

martedì 2 novembre 2010

Aspettando Waterloo

Leggo un po' dappertutto inviti e appelli a Fini e ai suoi a "staccare la spina", a farlo cadere, a mettere fine a un governo nato con la più vasta maggioranza mai vista in Italia e nonostante ciò incapace di fare alcunchè se non mettere pezze e levare immondizia sia reale che metaforica, unica vera attività in cui sono parsi eccellere. Per due anni e mezzo non sono riusciti a far nulla se non tagliare indiscriminatamente, azzerare ogni speranza di futuro per intere categorie di persone, millantare riforme tanto propagandate quanto sconosciute nei contenuti e nei possibili effetti futuri, precipitare l'intero Paese in un clima desolante dove i papponi e le mignotte sono le figure più nobili professionalmente parlando.
No, cazzo. La spina se la deve staccare da solo.
Sfiduciarlo sarebbe dare un pretesto per addossare ancora una volta la colpa del suo mancato governo a qualcun'altro, e in vista di future elezioni ciò non deve accadere. Devono essere ben evidenti le sue mancanze e le sue colpe, bisogna che lo schifo in cui questo Paese è precipitato arrivi anche ai suoi più ostinati e ottusi sostenitori. Bisogna che anche loro, dopo chiesa e industriali, dicano basta, che a chiederne le dimissioni arrivino i Feltri, i Sallusti, i Belpietro, e poi i suoi sottoposti, i Cicchitto, i Gasparri, i La Russa, i Bondi, i Capezzone, i Bonaiuti (qualcuno piano piano ci sta arrivando).
Bisogna che a pentirsi per la scelta fatta arrivino quanti in questi anni lo hanno voluto e votato, credendoci sinceramente e che oggi assistono increduli allo scempio, incapaci di ammettere che forse avevano ragione gli altri.
Se è necessario ancora tempo bisogna prendere tempo: non deve essere una sconfitta, deve essere una resa, non deve essere Lipsia, deve essere Waterloo. Solo così si avrà qualche speranza di non ritrovarselo la prossima volta.

domenica 31 ottobre 2010

Disarmonico

Tempo perfetto, fuori. Pioggia grigio e aria fredda come solo certe giornate di fine ottobre possono essere, clima adatto a ricordar trapassati e santi trapassati pure loro. Non è un caso, immagino, niente in fondo lo è a ben vedere. Poco importa, che l'animo vada in altre direzioni, con quella leggera esaltazione che solo il nuovo in arrivo può dare, l'incertezza di ciò che verrà a scuotere, in contrasto con la calma riflessiva che il tempo impone. Avrebbe dovuto esserci il sole oggi, sarebbe stato più in sintonia. C'è pioggia invece, e fatico a sopportarla.

Ann Peebles- I Can't Stand The Rain

giovedì 28 ottobre 2010

Trivial pursuit

C'è una domanda che da un po' di tempo mi pongo, di quelle talmente inutili che ti fanno quasi sentire in colpa quando si affacciano alla mente, ma che proprio per quella inutilità da trivia affascina e si ripropone periodicamente, spingendomi quando capita a ricerche oziose sul web nel tentativo di darmi una risposta: qual'è il brano musicale che vanta maggiori cover?
Superflua vero, come domanda? Ma cavoli, non è che uno può stare sempre lì a interrogarsi sui massimi sistemi, a domandarsi se il Pd dirà mai qualcosa di sinistra o a chiedersi chi ha corrotto David Mills. Insomma, il tempo è mio e lo butto via un po' come mi pare, no? E poi a me le cover piacciono. Per dire, mi piace Caro Emerald che rifa(*) Lady Gaga, Gary Jules che rifa Tears for Fears, Alanis Morrissette che rifa i Police, Giuliano Palma coi Bluebeaters che rifano (**) i Pretenders oltre a una fraccata di altra gente. Trovo a volte che le cover siano migliori degli originali, per quanto rimanga un fatto di gusto personale, e allora Korn meglio di Cameo, Ramones meglio delle Ronettes, Sinead O'Connor meglio di Prince, Bauhaus meglio di David Bowie, C.S.I. meglio di Franco Battiato e la lista potrebbe continuare a lungo, ma tornando alla inutile domanda iniziale la risposta è che probabilmente (il dubbio ovviamente rimane) la canzone più rifatta è Louie Louie di Richard Berry, un brano scritto nel 1955 e pubblicato due anni dopo con i Pharaos, rifatto ufficialmente più di 1200 volte.
La cosa non mi ha stupito più di tanto, visto che girando a muzzo sul tubo e scaricando sempre a muzzo dal mulo avevo notato come un sacco di gente si fosse cimentata con quel brano reso famoso dai Kingsmen nel 1963, la cui versione rimane per me ancora la migliore. Altre versioni apprezzabili: The Kinks, Iggy Pop, Motorhead, Blues Brothers, The Clash, Stanley Clarke, Beach Boys, la versione reggae di Toots and the Maytals, quella salsa di Mario Allison (che non so chi cacchio sia ma è una figata), e le prime versioni dei Wailers e di Little Bill and The Bluenote. Quello che non sapevo è che sulla canzone ci fosse un sito web dedicato e che persino l'Fbi se ne fosse a suo tempo occupata, investigando su eventuali oscenità contenute nella stessa (qui).
Ecco, ora che la risposta è stata trovata vi domanderete a cosa serve saperlo. In effetti a nulla. Un po' come sapere chi ha corrotto David Mills.

(*) Lo so che ci andrebbe l'accento, ma vivo in Piemonte......
(**) Idem come sopra

The Kingsmen - Louie Louie

martedì 26 ottobre 2010

Miopia

Ci sono vocaboli che nell'universo leghista pare non trovino spazio, almeno è quello che si può dedurre leggendo certe dichiarazioni del Governatore della Regione Piemonte ("Le borse di studio solo ai piemontesi!") nel passaggio da uno studio televisivo all'altro, dove è certo più facile trovarlo che in Piazza Castello. Uno di questi vocaboli è "investimento", inteso come impiegare risorse finanziarie in operazioni che diano frutti in futuro, ne consegue che anche la parola "futuro" sia alquanto sconosciuta, almeno quel futuro che va oltre le prossime scadenze elettorali e visto in senso lato, come qualcosa che si spera migliore e a cui tendere, il che detto tra noi dovrebbe essere alla base del mestiere di politico prima e di amministratore poi. Ed è strano per un leghista, radicato come dicono sul territorio e legato alla terra in senso anche contadino, che non si conosca il concetto di "semina", che implica impiantare qualcosa oggi per raccogliere un domani, cosa che -ogni buon contadino lo sa- non è detto che avvenga: diciamo che si semina e si spera che tutto vada bene. Ovvio che se non si semina nulla è difficile che si raccolga qualcosa, o se si semina una sola varietà in continuazione sullo stesso terreno prima o poi si avranno raccolti scadenti, ma evidentemente certi ragionamenti forse sono troppo complicati per chi è costretto a dialogare con sodali ruttanti e mostranti dita medie.
Sarà il clima da bambole non c'è una lira che imperversa su tutte le strutture pubbliche italiane a tirare fuori certe esternazioni, per cui bisogna tagliare tagliare tagliare (ma sempre in tema bucolico non si è mai visto un contadino che risparmi sulle sementi), o il vizio di parlare all'elettorato a ogni piè sospinto tanto per fargli vedere che il governare non li ha cambiati e loro sono sempre loro (e dicono le stesse sciocchezze di sempre), ma certe esternazioni sanno proprio di miopia congenita che porta a non vedere oltre il proprio naso, o il proprio cortile, come preferite. Perchè è vero che la Regione Piemonte è una delle poche che garantisce contributi a chiunque purchè idoneo e meritevole ma proprio per questo attrae molti studenti dal resto della penisola oltre che dall'estero, uno su tre infatti arriva da fuori regione. Questi studenti affittano alloggi piemontesi, comprano da mangiare in negozi piemontesi, si divertono in locali piemontesi, quando tornano a casa parlano ai conoscenti dei luoghi in cui studiano e magari questi altri decidono pure di venirci in vacanza, in poche parole portano soldi al Piemonte in misura certamente maggiore di quello che il Piemonte gli da. Poi studiano, e magari se si sono sobbarcati la scelta non facile di vivere fuori sede saranno pure meritevoli, e magari una volta terminati gli studi decideranno di fermarsi nella regione che li ha ospitati portando il loro contributo ad aziende piemontesi, oppure porteranno solo la loro esperienza nei luoghi d'origine ma dando prestigio alle università del Piemonte.
Certo, si dirà, il telegenico governatore afferma "solo" che dovrebbero essere le regioni di appartenenza degli studenti a sobbarcarsi le spese della loro istruzione, e all'orecchio leghista ciò apparirà senz'altro cosa buona e giusta (tutto quello che dovrebbero fare gli altri suona bene all'orecchio leghista, quello che dovrebbero fare loro molto meno), ma non si capisce perchè la regione Puglia ad esempio (che talaltro ha dato i natali al padre del telegenico: non sapevo avesse anche sangue meridionale) dovrebbe sborsare soldi che non si vedrà mai restituiti, in pratica seminare il campo del vicino tanto per restare in tema di paragoni rurali. A meno che non siano miopi sino alla cecità pure da quelle parti, ovviamente.

martedì 19 ottobre 2010

Il pane e le rose

Ci si arrabatta, in attesa di un ritorno a situazioni più congeniali. Siamo in tanti a farlo, ne vedo dappertutto. Li incontro ai colloqui di lavoro, dove per un posto ci si presenta in troppi, anche ai colloqui inutili come quello di oggi pomeriggio, un posto part time co.co.pro in un call center (mi son detto massì proviamo pure qua) dove per arrivarci hai le stesse spese di chi è impiegato ma lavori la metà e guadagni un quarto (bella l'Italia precaria che abbiamo costruito, ma vabbeh). Ne leggo i biglietti sparsi per la città, a offrirsi in lavori domestici a basso costo, ce ne sono dappertutto. E poi qualcuno ha il coraggio di dire che la crisi è finita! Sarà, ma non è che da queste parti se ne sono accorti in tanti.
Stamattina mentre dipingevo muri, per quel lavoretto aumma aumma che è saltato fuori a ridare fiato alle mie finanze, ho ripensato a tutte le mansioni che ho svolto da che avevo quindici anni e che mi hanno portato soldi, sempre pochi in verità. Alla rinfusa, molti presso una stessa ditta: falegname, fresatore, tornitore, operaio su ogni tipo di macchina utensile, attrezzista, carrellista, programmatore, magazziniere, autista, venditore di libri dischi e fumetti usati, libraio, fattorino, corriere, addetto vendite, gestore di un negozio, impiegato logistico, impiegato operativo trasporti, imbianchino, oggi pure muratore, per un po' di tempo pure disc jockey per puro scialo, ultimamente per un paio di occasioni inviato sportivo per un settimanale. Ecco, ho lasciato da parte soggettista e sceneggiatore ché per ora soldi nisba e contatti pochi, ma di cose ne ho già fatte parecchie e neanche poi male. Tutti questi lavori li ho lasciati per scelta personale, non mi ha mai cacciato nessuno. Li ho lasciati perchè uno ha il diritto di cercare di meglio e la paura di lasciare il certo per l'incerto non la sento più da un sacco di anni. Certo la situazione forse oggi sarebbe diversa se quando ero in fabbrica avessi detto sempre sìssignore, oppure se non mi fossi intestardito a inseguire un sogno un po' folle (pensa te, campare vendendo libri a fumetti, in una amena provincia del nord, il primo laggiù), se avessi poi avuto paura di trasferirmi in una nuova città per ricominciare tutto da capo (vita sentimentale compresa). Sarebbe stato diverso, ma avrebbe significato pensare solo all'aspetto materiale delle cose, senza peraltro avere la certezza di conservarle. Perchè alla fine nella vita il pane è importante, ma le rose lo sono ancora di più.

Mr. Hudson and the Library - Bread & roses

giovedì 14 ottobre 2010

Omonimie


Ah, ecco cosa mi ricordava!

Vedere o non vedere (questo è il problema)

"La televisione è come la merda. Bisogna farla ma non guardarla." Gianfranco Funari

Non guardo molta televisione, voglio dire, ne guardo il giusto, almeno credo. Di solito a pranzo un telegiornale o in alternativa il trittico American Dad - Griffin -Simpson quando li davano, oggi che danno altro è accesa ma non è che la segua con attenzione. Poi la sera di solito sono al computer, altrimenti cerco qualche film sui canali digitali Rai4 o RaiMovie o alla peggio Iris, in alternativa se c'è qualcosa di interessante scelgo RaiExtra o RaiStoria, che mi piacerebbe diventasse un canale di storia a tutto tondo e non solo storia del novecento in Italia attraverso le teche Rai. Se proprio non c'è nulla guardo niente. Il calcio, quello sì.
Scanalo molto solitamente, e mi capita di passare sulle reti generaliste ma non mi ci soffermo quasi mai: o c'è merda o dopo qualche minuto qualcuno comincia a litigare con qualcun'altro e allora giro. Onestamente trasmissioni come Anno Zero, Ballarò, L'Infedele, Matrix, Exit, Omnibus, Otto e Mezzo, L'ultima Parola, Porta a Porta, In Onda, Niente di Personale, pure Che tempo Che Fa e Parla Con Me, pure e mi dispiace Report e Presa Diretta mi hanno frantumato i coglioni.Insomma, non se ne può più, basta, smettetela, si è passato il limite: non è uno show, non è un reality, è vita vera quella su cui ci si avventa per trasmetterla fino a confondere il confine tra ciò che è reale e ciò che è spettacolo.
Qui mi aggancio a un bel post cannibale di Marco sullo stesso tema e di cui in qualche maniera avevo gia parlato qualche settimana fa. Come ho detto commentando da lui a pensarci il confine è stato superato da un pezzo, oggi se ne vivono gli effetti. Mediaticamente parlando Avetrana non ha niente di diverso da Cogne o da Perugia, il recupero dei minatori in Cile sembrava l'Isola dei Famosi, le immagini del pugno dato nella metro romana non ha niente di diverso da Real Tv a parte la mancanza del sottofondo musicale in stile Frankie Goes to Hollywood e del commento del Bagatta di turno. La differenza tra ciò che è reale e ciò che è reality è diventata sottilissima e non si capisce più dove comincia l'uno e finisce l'altro. E come ho già detto da Marco mi preoccupa una cosa: quando arriverà il momento in cui anche questa realtà vera solo perchè passata attraverso la televisione smetterà di avere effetto e ci si sarà assuefatti, oltre cosa c'è?

martedì 12 ottobre 2010

Natural Born Pirla

Su Rai Uno nazionalisti serbi travestiti da tifosi mandano in vacca una partita di calcio e se la litigano con poliziotti in assetto antisommossa (*); su Rai Due la premiata ditta Elio Maionchi Tatangelo Ruggeri se la litiga attorno agli starnazzi di una banda di aspiranti canterini; su Rai Tre a Ballarò Ignazio Marino se la litiga con una pidiellina che non ricordo come cavolo si chiama.
Spengo e metto sul lettore il dvd di Natural Born Killers. E' meno violento.

(*) Il commissario tecnico Prandelli dichiara: "Una roba mai vista" (fonte Televideo). Strano, eppure all'Heysel nell'85 giocò pure lui.

Banksy Simpson

Foto e video © 20th Century Fox
Pare che la Fox non abbia gradito quello che è venuto fuori dalla partecipazione di Banksy alla realizzazione della parte finale della sigla dei Simpson, quella che varia a ogni puntata per intenderci. L'anonimo graffitaro britannico ha approfittato dell'occasione per toccare un tema di cui si parla troppo poco, lo sfruttamento minorile in particolare nei paesi asiatici, cavalcando la notizia che la casa di produzione americana ha deciso di spostare parte della produzione della popolare serie a cartoni animati in Corea del Sud.
Il fatto che la Fox abbia chiesto prontamente la rimozione da YouTube del video che ha cominciato a circolare subito dopo la messa in onda della puntata domenica scorsa (per violazione del copyright, non dovesse più vedersi provate qua), non gioca certo a favore del colosso americano che immagino sarà certamente fuori da queste logiche di sfruttamento. Quindi perchè indignarsi?
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giovedì 7 ottobre 2010

Tra le righe

Il Bandana, a margine dell' incontro Italia-Cina:
"Come noi i governanti cinesi sono fautori della politica del fare e preferiscono affrontare i problemi concreti piuttosto che irrigidirsi su questioni di principio."
Alle questioni di principio immagino appartengano le violazioni dei diritti umani in Cina contro cui il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione a gennaio di quest'anno.
Mi chiedo se ogni tanto si rende conto di quello che gli esce dalla bocca.
No, vero?

lunedì 4 ottobre 2010

Cronache da Altroquando

Vignetta di PV

In verità l'Altroquando ha data e luogo precisi e io volevo farci un post su 'sta cosa accaduta ieri a Palermo, ma si direbbero le solite cose e non ne ho più voglia. Per cui giudicate voi (pure leggendo qui e qui).

domenica 3 ottobre 2010

Le cose cambiano, Charlie Brown

Non l'ho mai amato particolarmente, Charlie Brown, pur avendo letto in passato una marea di raccolte dei Peanuts che ieri hanno compiuto 60 anni. Un fascino strano, quello emanato dal bambino dalla testa rotonda e dalla sua cerchia di amici, dato da un universo sempre uguale a se stesso, immutabile negli anni, dove l'aquilone di Charlie è fagocitato inevitabilmente dall'albero, Schroeder suona costantemente il solo Beethoven su un pianoforte solo e sempre giocattolo, Lucy è sempre antipatica, Pig Pen è sempre sporco, Linus aspetta per l'eternità il Grande Cocomero stringendo la fida coperta. Un mondo cristallizzato che gira costantemente su se stesso, sempre uguale e chiuso alle novità, destinato a rimanere tale per volontà dell'autore che al momento della morte avvenuta dieci anni fa ha vietato espressamente nuove produzioni delle sue creature. Niente a che vedere con il mondo in movimento seppure lento di Mafalda, per rimanere in tema di universi visti con occhi bambini, dove qualche novità a volte arrivava a spezzare la monotonia della situazione e dove, diciamolo pure, la comicità era più evidente: dove Quino strappava risate, Schultz a malapena regalava sorrisi.

E' in pratica Peanuts uno scorcio di esistenza ripetuto all'infinito, dove nulla o quasi esce mai dalle righe di una storia già scritta e da tutti vissuta almeno una volta nella vita, confortante però nella sua voluta staticità. Conforta sapere che al contrario di Charlie siamo riusciti ad agganciare prima o poi la ragazzina dai capelli rossi, che una volta almeno abbiamo lasciato il campo di gioco da vincitori, che abbiamo riposto nell'armadio la coperta e che abbiamo imparato a suonare anche melodie diverse. Il paragone col mondo Peanuts segna il passaggio con la vita adulta e per questo Charlie e banda ci sono necessari, ma detto questo sfugge però il motivo per cui continuiamo a rimanerne legati e a leggere e rileggere le storielle di quel mondo. La risposta sta tutta il quel "quasi nulla" che sfugge dalle righe di una storia già scritta, sta in Snoopy, il "quasi nulla" che sfugge, l'unica variabile della serie nelle sue diverse incarnazioni: pilota d'aerei da caccia, capo esploratore comandante di improbabili boy scout, scrittore incompreso ma testardo, ballerino, conquistatore di cuori, oppure cane/amico affezionato, semplicemente, come ci si aspetterebbe. Snoopy nella serie è l'unico adulto in un mondo di bambini, il più imprevedibile di tutti nella varietà dei suoi vissuti. Il più umano di tutti, probabilmente.

venerdì 1 ottobre 2010

Tempi moderni

Che a pensarci è del 2001 l'ultima volta in cui il primo e unico ascolto di un gruppo mi ha fatto fiondare a comprarne il disco, a scatola quasi chiusa, senza restarne deluso, consumandolo anzi nell'ascoltarlo per settimane di fila e poi ancora a distanza di anni. Oggi al limite corro a scaricarlo dal Mulo. Non è proprio la stessa cosa.

The Strokes - The Modern Age

giovedì 30 settembre 2010

mercoledì 29 settembre 2010

Architecture in Turin

Devo ammetterlo, usare le parole "Un luogo nuovo, non giardino e non piazza, ma paesaggio urbano di rottura" per descrivere Piazzale Valdo Fusi è veramente geniale.
Degno del miglior Crozza.



martedì 28 settembre 2010

La Penisola dei Famosi

La politica italiana ha compiuto il grande passo, unica al mondo credo, e si è trasferita armi e bagagli nell'universo mediatico, un luogo virtuale dove trova posto pure larga parte dell'informazione, tutti insieme appassionatamente a mettere in scena il grande spettacolo della vita pubblica. Ogni giorno si va in onda a reti divise eppure unificate in una escalation di puro nulla fatto di parole su parole, analisi di analisi, commenti dei commenti che comincia a colazione con le chiacchiere ancora assonnate su Omnibus e termina a notte fonda con l'insetto maculato a rimboccarci le coperte dall'ammiraglia della ex rete pubblica. In mezzo aggiornamenti, letture di quotidiani ormai già vecchi anche se usciti solo da qualche ora, commenti degli aggiornamenti, promo di ciò che verrà, interviste inutili, slogan ripetuti all'infinito, riepiloghi e riassunti delle puntate precedenti, messaggi video che sanno tanto di confessionale da Grande Fratello.
E' una telenovela, peggio, è un reality show, e neanche dei più riusciti. Nella Penisola dei Famosi i concorrenti sono sempre gli stessi, si avvicendano nelle cronache a seconda del momento, appaiono scompaiono per poi riapparire ancora, alla bisogna (vero, Uolter?). Altri personaggi, secondari, entrano ed escono, diventano protagonisti per qualche puntata, fanno la loro parte poi tornano nel dimenticatoio: chi parla più di Noemi Letizia, della Cricca, di Bertolaso, di Verdini? Sconfitti dal televoto, nell'universo mediacratico esiste solo chi ruba titoli di giornale e puntate televisive, esiste solo quello di cui si parla e tutto il resto rimane fuori. Disoccupazione, monnezza, corruzione, precariato, tangenti, evasione fiscale, debito pubblico, recessione, morti bianche non sono niente, voci fastidiose utili ogni tanto, quando le idee scarseggiano, quando i Protagonisti hanno bisogno di rifiatare e risistemare la sceneggiatura.
E noi in tutto questo, vi chiederete? Noi siamo come nella storiella qua sotto:

"Il più bel verso poetico nella storia di questo maledetto paese (Stati Uniti, nda) è stato pronunciato da Canada Bill Jones nel 1853, mentre al tavolo di una partita di faraone truccata veniva derubato fino alle mutande. George Devol, che come Canada Bill non era un uomo incapace di sgamare l'inganno, prese in disparte Bill e gli chiese se non si fosse reso conto che stavano barando. Canada Bill sospirò, scrollò le spalle e disse, -Lo so. Ma è l'unico tavolo da gioco della città.- E tornò a farsi spennare.

Neil Gaiman, American Gods ( Mondadori 2002)

martedì 21 settembre 2010

Zapping



Serata casalinga, svaccato sul divano scanalo tra Ballarò e X-Factor.

Non ci trovo grandi differenze.

domenica 22 agosto 2010

Businness as usual


Uno studio della ricercatrice Sharon Lamb dell' Università del Massachussets sui comics americani ha posto l'accento sul carattere diseducativo che contraddistingue i supereroi attuali, egoisti cattivi e dediti a una violenza fine a se stessa, a differenza dei loro predecessori quasi tutti animati da sentimenti di solidarietà e giustizia. Facendo un po' di confusione tra eroi visti al cinema e quelli sulla carta stampata, la Dottoressa punta l'indice sull'evoluzione di personaggi come Iron Man, dove il multimiliardario Tony Stark quando non indossa la corazza rossa e oro è dedito a sciupare femmine e a spendere e spandere, mentre un tempo gli eroi quando smettevano le calzemaglie e tornavano in abiti civili erano in tutto e per tutto persone comuni con difetti e carenze in cui potersi identificare, si pensi al Clark Kent/Superman timido e impacciato o al Peter Parker/Spiderman adolescente sfigato.
Dallo studio condotto tra lettori e operatori del settore emerge come ai lettori di oggi vengano proposte due sole tipologie di eroi dove in entrambi si è persa la dimensione umana: il cosiddetto player, eroe a tempo pieno animato perlopiù da desideri di vendetta con scarso senso di solidarietà, e lo slacker, un personaggio buffo, comico, disimpegnato e deresponsabilizzato, entrambi cattivi modelli per i giovani odierni.
In effetti se si sposta l'attenzione sulle trasposizioni cinematografiche dei personaggi fumettistici verrebbe da dar ragione allo studio della ricercatrice americana e a constatare come la distinzione fra eroe/bene e cattivo/male è venuta via via scemando fin quasi ad annullarsi. Batman ad esempio è passato dalle fattezze rassicuranti di Michael Keaton e George Clooney, che con Val Kilmer hanno interpretrato l'Uomo Pipistrello nei primi film della serie, ai tratti antipatici e duri di Christian Bale nelle ultime due pellicole. Anche i villains hanno subito un mutamento in peggio, evidente se si paragona la visione ingenua e caricaturale del Joker interpretrato da Jack Nicholson nel primo film di Tim Burton del 1989, a quella intrisa di violenza e follia allo stato puro dell'interpretrazione, magistrale, di Heath Ledger nell'ultimo film della serie, Il Cavaliere Oscuro del 2008. In quest'ultimo film in particolare la contrapposizione buono/cattivo viene meno in maniera eclatante: il Joker è uno psicopatico assassino senza scrupoli di sorta (ma è quello che suscita le simpatie maggiori), il procuratore Harvey Dent (buono) diventa Two Face (cattivo), il tenente Gordon non esita a mentire alla propria famiglia seppure in buona fede, Batman stesso non esita a usare modi violenti pur di arrivare a sconfiggere il suo nemico (in una scena di inseguimento a bordo della Batmobile causa più incidenti lui che il Joker) e alla fine ad accettare coscientemente il ruolo di cattivo, necessario tuttavia per sconfiggere il male. Il tutto si muove in un clima da apocalisse dove i soli messaggi positivi arrivano dal maggiordomo Alfred, ma è impensabile che qualcuno prenda ad esempio un servitore, e da un ergastolano che si rifiuta di far saltare una nave (idem come sopra). In tutto il film quindi i concetti di bene e male sono confusi e spesso ribaltati, lasciati più che altro all'interpretrazione di chi assiste.
Accenni di deriva si erano visti anche in Spiderman 3, seppure in maniera meno marcata, quando con l'arrivo del clone il timido Peter Parker aveva assunto atteggiamenti arroganti e antipatici che però gli garantivano fortuna e successo. Qui però l'eroe torna presto in sè, ma rimane il dubbio che ad essere egoisti e scorretti qualche vantaggio lo si ricava.
C'è da dire che rivisitazioni di modelli in chiave degenerativa si erano visti anche in ambiti non strettamente fumettistici ma che riguardavano pur sempre eroi modelli di riferimento, basti pensare allo 007 attuale interpretrato da Daniel Craig e confrontarlo con il James Bond recitato da Sean Connery per accorgersi che qualcosa è cambiato con l'andare degli anni.

Teorie fantasiose vogliono certe scelte un preciso disegno di indirizzamento sociale, data la quantità di persone che questi prodotti riescono a raggiungere e, si pensa, a influenzare. Se pensiamo all'utilizzo che a volte si è fatto di alcuni eroi, come il Capitan America anni '40 impegnato contro i Nazisti, o certe uscite editoriali post settembre 2001, verrebbe quasi da crederci, non fosse che la realtà probabilmente è molto più semplice se si ribalta la questione su chi influenza chi, e su cosa sia il fumetto americano.
A differenza del fumetto nostrano che mantiene, o cerca di farlo, un carattere artistico, negli Stati Uniti i comics, così come il cinema, sono quasi esclusivamente un fenomeno commerciale. Nascono sulle pagine dei quotidiani per far vendere di più, crescono poi autonomamente per raggiungere il maggior numero possibile di persone e quindi vendere il più possibile. Ovvio dunque che seguano regole più commerciali che artistiche, adattandosi ai tempi e inseguendo i gusti, spesso solo presunti, della gente. Mentre in Italia un personaggio come Tex Willer resiste per cinquant'anni senza cambiare una virgola dell'impostazione originale in barba al cambiamento dei tempi, adattando le logiche commerciali non al carattere del personaggio ma ad aspetti secondari del prodotto (diversificando le uscite, proponendo ristampe o versioni diverse), in America il gusto dei lettori ma soprattutto la necessità di un ritorno economico è prioritario e decisivo nella scelta delle storie. Soluzioni come la Morte di Superman, il cambio di costume di Spiderman o altre trovate del genere si spiegano solo in questo modo del resto.
Negli anni '60 l'esplosione dei personaggi Marvel fu dovuta all'intuizione geniale di autori come Stan Lee e Jack Kirby che capirono lo spirito dei tempi e proposero modelli di eroi che potessero incontrare il favore del pubblico, cosa che avvenne con successo. Le nuove generazioni di americani avevano fame di cambiamento, spirito di contestazione, desiderio di nuovo, problematiche diverse da quelle dei propri genitori e, soprattutto, più dubbi rispetto a loro. Eroi tutto d'un pezzo come Superman o Batman o altri dell'universo DC, integerrimi e sempre leali anche nella vita privata e che non mettevano mai in discussione i loro principi ispiratori, erano distanti dal loro sentire, mentre i "supereroi con superproblemi" di nuova generazione furono senz'altro più vicini ai loro sentimenti e alle loro aspettative. La violenza in questo genere di fumetto c'era anche allora, l'unica differenza rispetto ad oggi è tutta nel fatto che a menare fosse brava gente per una giusta causa.
Il successo di nuovi eroi come L'Uomo Ragno, i Fantastici Quattro, Hulk, Iron Man, Thor, fece da traino a un vero e proprio universo di eroi, nati per sfruttare il nuovo filone d'oro. Il carattere commerciale alla base era assicurato, e quello moralistico era sempre presente seppure in maniera diversa rispetto al passato, ma qui c'è da ricordare un fattore essenziale: dietro un personaggio c'è sempre chi lo scrive, riflette dunque in qualche maniera il proprio autore. Ognuno di questi autori, tranne rare eccezioni, è influenzato da chi lo ha preceduto, mantiene il messaggio di base e va oltre, proponendo a sua volta il proprio mondo oltre a quello esterno. Quello che accade oggi nei comics e nel cinema a lui legato è dunque figlio di ciò che è venuto prima, e prima c'è stato quel cambiamento epocale avvenuto negli anni '80 ad opera di autori come Alan Moore e Frank Miller coi loro Watchmen e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro. Queste opere hanno rivoluzionato il modo di intendere i supereroi modificandone i principi ispiratori e facendone non più solo un prodotto per adolescenti un po' disadattati ma un prodotto adulto destinato a gente adulta. In Watchmen non più eroi integerrimi e leali con superpoteri e al di sopra della parti, ma semplici uomini con grandi doti ma anche grosse lacune morali, in Batman addirittura si invecchia il protagonista e se ne mostrano tutti i limiti. Se salvaguardiamo alcune opere successive di alcuni disegnatori come Dave McKean e Alex Ross, dove l'elemento disegno è preponderante sulle per quanto valide storie, il fumetto americano supereroistico poteva tranquillamente morire lì, pietre miliari e tombali allo stesso tempo, assoluti capolavori che in qualche maniera, forse non volendo, hanno tracciato una rotta seguita poi da altri.
Il punto è proprio questo. Oggi chiunque scriva comics è destinato a confrontarsi volente o nolente con quelle opere punto di riferimento che hanno influenzato il modo di intendere un supereroe così come a suo tempo era avvenuto con gli eroi Marvel. Se a ciò aggiungiamo il cambiamento avvenuto in seno alla società, diventata più individualista e meno sensibile alle questioni morali, e ricordando che qualunque fumetto è pur sempre una visione distorta di ciò che è reale, ecco che improvvisamente tutto il mondo supereroistico è diventato senza saperlo un prodotto per adulti a cui non necessariamente bisogna aggiungere elementi educativi (si presume che un adulto non ne abbia più bisogno).
C'è da dire che qualcuno si è accorto di come la cosa stesse degenerando molto prima che arrivasse lo studio della Lamb. In Venga Il Tuo Regno del 1996 gli autori Mark Waid e Alex Ross proponevano una lotta fra Superman e altri eroi della vecchia guardia contro le nuove generazioni di eroi, violenti e incuranti del prossimo. Lo stesso Alan Moore dal canto suo dopo aver contribuito a rivoluzionare l'universo supereroistico ha fatto un passo indietro e ha scritto storie di supereroi decisamente più classiche, quasi a voler espiare per aver scritto Watchmen.

In definitiva lo studio della Lamb è veritiero, l'industria dei comics attuale non sforna un prodotto educativo, ma essendo un prodotto commerciale a ben pensarci non si proponeva di farlo nemmeno quella di una volta: se educava era per frutto del caso, dei tempi e della natura dei propri creatori. Semplicemente è cambiato il mondo attorno e i comics coi loro autori lo riflettono, come hanno sempre fatto.

giovedì 19 agosto 2010

Scopritori d'acqua calda

A leggere certe cose mi viene da ridere per non piangere. A questi geni vicini a Gianfranco Fini che pretendono di Fare Futuro senza conoscere il Presente e senza aver capito il Passato ci sono voluti solo sedici anni per arrivare a capire ciò che ad altri era evidente da subito e a cui dovrebbero come minimo delle scuse.
Sedici anni, sticazzi! Per dire, a smettere di credere a Babbo Natale io ci ho messo molto meno. Certo, meglio tardi che mai, ma è un peccato che questi si accorgano dell'esistenza del fuoco solo ora che l'acqua è bollente e la casa sta bruciando.
Com'è che recitava quella canzone? Ah, sì:

The roof, the roof, the roof is on fire.
We don't need no water let the motherfucker burn
Burn motherfucker burn.

E che si scottino in tanti.

Bloodhound Gang - Fire water burn

lunedì 16 agosto 2010

Agosto '44

(Se avete tempo da perdere.......)
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La voce continuava a risuonargli in testa e le parole si ripetevano uguali, infinite volte: “Allora intesi, voi due rimanete qui fino a domattina”, dicevano e anche “Occhi aperti, mi raccomando”, e poi parole come “coraggio” e “compagni”, forse anche suoni di saluto, e nella mente rivedeva, da lontano, l’uomo della voce scomparire nel bosco proprio sopra di loro. Lo videro, lui e Valerio, inerpicarsi sul sentiero usato dai taglialegna e ne udirono i passi ancora per qualche minuto, poi il silenzio si fece intenso, ognuno si rifugiò nei propri pensieri, che per lui erano quel ripetersi uguale di una situazione banale.
Il compagno di quella veglia, Valerio, almeno così si faceva chiamare, si era accovacciato a ridosso di un pino. Teneva in mano il vecchio fucile e ogni tanto lo stringeva più forte. Lui stava di fianco, il mitra posato davanti pronto ad essere imbracciato, e guardava la valle sotto di loro mentre lasciava spazio a quegli unici pensieri dettati dalla stanchezza.
Come postazione era ben scelta. Dietro erano riparati dal Gran Bosco, e l’unica strada che veniva da sopra era quella che portava al rifugio dove i compagni avrebbero trovato riparo, un paio d’ore di cammino più a monte. A poca distanza dalla postazione c’era una specie di bunker in cemento dove poter riparare in caso di attacco, probabile quella notte. Da lì potevano controllare la strada che saliva dalla frazione e riuscivano a vedere fino giù, in paese, dove le forze nemiche si erano assestate, e in caso di un loro movimento avvisare in qualche modo i compagni in fuga.
“Pensi che verranno?” chiese Valerio rompendo il silenzio.
Mario si girò verso il ragazzo, stupito da quella domanda. Era certo che sarebbero venuti. Da giorni non facevano altro che braccarli, spingendoli sempre più su per le montagne e adesso che li avevano a portata di mano non si sarebbero certo lasciati sfuggire l’occasione. Avrebbe voluto dirgli di non fare domande stupide, ma Valerio era giovane, troppo per quelle cose, e inoltre mostrava segni di nervosismo da quando il loro comandante Lupo li aveva destinati a quell’incarico: “occhi aperti, mi raccomando”. Chissà perché Lupo aveva deciso di lasciare in mano a un vecchio e a un ragazzo quell’incarico così delicato. Ma forse era una domanda stupida anche questa: un vecchio e un ragazzo sono più sacrificabili di altri, e un capo deve saper prendere anche decisioni difficili.
“Forse”, rispose Mario e fece per accendersi una sigaretta.
La teneva nascosta nel palmo della mano, per evitare bagliori, un gesto ripetuto tante volte nelle notti di guardia in trincea, quasi trenta anni prima. Aveva passato gran parte della sua vita a combattere, senza avere possibilità di scelta, spesso senza manco chiedersi il perché. L’unica volta che aveva potuto scegliere il destino lo aveva portato su una montagna del Piemonte, a mille e più km da casa, e ora gli chiedeva di dividere la guardia con un ragazzo di un terzo dei suoi anni.
“Vuoi?” chiese Mario porgendo la mano con la sigaretta a Valerio.
“No", rispose senza girarsi, "Non fumo”.
“Male. Di un uomo senza vizi non c’è da fidarsi” disse il vecchio abbozzando un sorriso.
Valerio si voltò a guardarlo, di scatto.
“Ehi, non volevo offenderti”, disse Mario, “E’ per sdrammatizzare”.
Il ragazzo voltò la testa a valle e strinse le mani sul fucile ancora più forte.
Trascorsero alcuni minuti in cui il solo rumore era dato dal bosco che si agitava alle loro spalle. Mario pensò che forse non era il caso di voler sdrammatizzare. Forse il ragazzo era uno di quelli che prendeva la faccenda seriamente e bisognava lasciarlo stare. Per quello che lo riguardava non prendeva più seriamente quel genere di cose ormai da tempo. Erano cose della vita, punto e basta, non valeva la pena dargli troppa importanza. Era un buon modo per rimanere vivi, pensava, quello di non aver paura di morire.
“Tu pensi che io non valga nulla.” disse Valerio interrompendo il pensiero di Mario, a cui ci volle un attimo prima di rispondere con un tono un po’ scocciato, perché i pensieri che gli stavano venendo gli sembravano piuttosto profondi e degni di essere seguiti, ma si sforzò di non darlo a vedere.
“Non ho detto questo”, disse, e non avrebbe voluto proseguire, ma il ragazzo continuava a guardarlo come se aspettasse un seguito alla sua risposta, e in effetti, pensò Mario, da come la aveva posta lui stesso un seguito sembrava dovesse esserci. In realtà finora non si era posto il problema di farsi una idea del ragazzo, gli sembrava una operazione inutile. Se davvero non valeva nulla si sarebbe visto, presto o tardi, e se valeva qualcosa lo avrebbe dimostrato, presto o tardi. Disse infine, ma solo perché non gli sembrava giusto negare a un giovane almeno il conforto delle parole, che in realtà non lo conosceva e quindi non poteva giudicarlo, sempre che bisognasse farlo.
Il ragazzo continuava a fissarlo. “Non è stata colpa mia” disse piano, abbassando gli occhi.
“Ormai è fatta” rispose Mario aspirando una boccata di fumo, poi lo invitò a stare tranquillo e a riposare: “Il primo turno lo faccio io. Ti sveglio tra un paio di ore per darmi il cambio”.
Valerio seguì il suo consiglio e si sdraiò voltandogli la schiena, lui cercò una posizione più comoda e guardò in basso, a valle.
Era una notte serena e la luna illuminava bene il sentiero sotto di loro. Lontano, giù, in paese, le luci erano tutte spente, e per quel che si poteva vedere tutto sembrava tranquillo. L’uomo si concentrò meglio sulle case dabbasso, cercando di scorgere qualche segnale di movimento, ma non vide nulla oltre quello che gli parve un cane nel cortile adiacente una specie di fienile.
“Non è stata colpa mia”, Mario ripensò a quelle parole e decise che forse davvero non lo era stata. Cose che capitano in guerra, si disse. Lui non aveva partecipato all’azione, gliela avevano raccontata più tardi i compagni che ora, come loro, erano costretti alla fuga.
Aveva sentito diverse versioni, discordanti tra loro. Qualcuno diceva che Valerio, il giorno prima quando era sceso in paese per le provviste, non aveva preso i dovuti accorgimenti e si era fatto notare troppo, forse seguire. Qualche altro era arrivato a dire che era stato proprio lui a indicare ai loro nemici la strada per arrivare al rifugio dove erano nascosti costringendoli a fuggire, e lo aveva apertamente accusato, tanto da far intervenire Lupo a metter pace e sedare la rissa che ne era nata. Alcuni dei compagni non si fidavano di questo Valerio, giunto nel loro gruppo poco tempo prima e che nessuno conosceva. Era giovane, classe ’27, senza nessuna esperienza militare, e forse era questo che rendeva diffidente la maggior parte del gruppo, quasi tutti reduci del regio esercito con anni di servizio all’attivo.
“Ad ogni modo”, pensò Mario, “stupido o traditore non cambia il fatto di dover scappare”.
Gli piaceva questo suo aspetto di prendere le cose per come venivano, un senso di fatalità innato, per quello che ne poteva sapere. Finora gli era andata bene ragionando così, non vedeva motivo per doverla pensare diversamente. Qualcuno del gruppo che aveva studiato più di altri gli aveva affibbiato il nomignolo di Magna Grecia, sia per la sua provenienza meridionale che per quel suo modo di filosofeggiare. Gli andava bene, il nomignolo, anche se non sapeva bene cosa intendessero, però sapeva che magno significava grande e la Grecia era la Grecia, per cui non ci vedeva niente di male se lo chiamavano così.
Prima che le due ore scadessero Valerio era già sveglio. Aveva dormito poco e male, quasi niente, rigirandosi spesso sulla terra umida, sempre col fucile ben stretto fra le mani. Quando chiese il cambio a Mario i suoi occhi erano un po’ gonfi di sonno insoddisfatto e la sua voce incrinata da una malcelata tensione.
Mario gli disse che finora era tutto tranquillo e subito si sdraiò supino cercando di dormire.
Pensò, prima di prendere sonno, a una situazione simile di molti anni prima, quando il più giovane era lui e il suo compagno di allora stette sveglio tutta la notte. Attribuì quella scelta a mancanza di fiducia e per questo, ora, anche se la fiducia non era totale, si impose di chiudere gli occhi e dormire.
Quando li riaprì un fucile era a un palmo dal suo naso e attorno a lui si agitavano figure scure, molte.
“Cazzo” esclamò facendo un movimento per tirarsi su.
L’uomo che gli puntava il fucile fece il gesto eloquente di prendere la mira e sibilò piano, sorridendo, “Shhh!”.
Mario cercò di guardarsi attorno. Vide almeno una ventina di figure con la divisa scura transitare lungo il sentiero e Valerio parlare con uno di loro. Non sentiva cosa si stessero dicendo, ma quello che sembrava comandare la pattuglia puntava il dito verso la sua direzione, mentre Valerio sembrava stesse protestando. La discussione durò poco e al termine Valerio si diresse verso Mario, mentre il comandante faceva un gesto verso l’uomo che lo teneva sotto mira. Questi prima di voltarsi indietreggiò di un paio di passi, sempre tenendo l’arma puntata, e l’abbassò solo quando Valerio lo ebbe raggiunto per dargli il cambio. A Mario parve di vedere nuovamente un sorriso, tronfio, sul volto dell’uomo col fucile mentre incrociava lo sguardo del ragazzo che arrivava a passi lunghi.
Il gruppo si allontanò in fretta lungo il sentiero, piuttosto silenzioso. Mario si mise a sedere incrociando le gambe, Valerio gli si pose davanti, fucile in mano.
Il vecchio fece per prendere una sigaretta portando la mano verso il taschino della giacca, ma si bloccò nel momento in cui il ragazzo gli puntò l’arma contro.
“Vuoi?” chiese Mario con un mezzo sorriso.
“Ti ho già detto che non fumo” rispose seccato Valerio.
L’uomo si portò la cicca alle labbra e cercò più del dovuto con le dita nel fondo della tasca. “Già”, disse, “Non fumi, e non bevi, e parli sempre poco”. Sfregò il fiammifero senza preoccuparsi della luce che avrebbe fatto la fiamma e tirò poi una boccata lunga dalla sigaretta accesa, senza aspirare il fumo che uscì dalla bocca corposo e grigio.
“Quanto ti hanno pagato?” chiese.
“Non è per i soldi” rispose pronto Valerio.
“No? E per cosa, per avere salva la vita?” Mario teneva le gambe incrociate e le braccia attorno alle ginocchia, stava seduto mantenendosi in equilibrio in questo modo e tirava dalla sigaretta a intervalli regolari. Ogni volta inspirava a fondo e rilasciava il fumo quasi subito. Gli piaceva vedere il contrasto della luce notturna su quel rivolo grigio che gli usciva dalla bocca.
Mentre aspettava una risposta che non arrivava notò il suo mitra a qualche metro di distanza, poco più in basso. Si chiese se fosse stato Valerio a buttarlo lì o se erano stati invece quelli che li braccavano. Pensò che non sarebbe mai potuto arrivare all’arma, che era stato ingenuo per non dire stupido a fidarsi di quello strano ragazzo, che avevano avuto ragione alcuni dei suoi compagni. Che era inutile pensare a quelle cose.
Valerio non rispondeva e Mario provò a incalzarlo.
“Io invece pensò che ti abbiano pagato. Preferisco pensare che ti abbiano pagato. Se uno si vende per soldi lo capisco, se lo fa per paura è solo un vigliacco!” La sua voce andò indurendosi mentre diceva la frase e l'ultima parola arrivò dritta dove voleva arrivare, Valerio infatti reagì di scatto: “Non sono un vigliacco!”. Lo disse a voce alta, portandosi il fucile alla spalla, puntandolo dritto verso gli occhi di Mario. Questi tirò l’ultima boccata e spense la cicca contro una pietra. Il fucile di Valerio sembrava non disturbarlo affatto e l’uomo continuava a muoversi tranquillo, come sempre.
Anche quando udirono l’eco di uno sparo arrivare da poco più a monte l’uomo non si scompose e mantenne la posizione seduta con le braccia a reggere le gambe. Valerio si voltò di scatto a guardare nella direzione da cui era arrivato il suono e lo calcolò molto vicino. Altri spari seguirono il primo e in un attimo la valle fu inondata dell’eco di uno scontro che stava avvenendo a poche centinaia di metri da loro. Si udivano anche voci indistinte e a volte urla più forti.
Valerio era confuso, era trascorso troppo poco tempo da quando la colonna degli inseguitori si era allontanata e non era possibile che gli spari venissero dal rifugio a monte, a meno che…. Il pensiero lo fece girare verso Mario e fargli dire col tono di chi ha appena avuto una rivelazione “Non sono andati al rifugio. Sono rimasti nel bosco”.
“Così pare” disse Mario.
Restarono a guardarsi per qualche secondo, poi il vecchio mise una mano nella tasca della giacca, la tirò fuori stringendo una manciata di proiettili calibro 6,5 mm.
Valerio sussultò, forse cominciando a capire, guardò il fucile che stringeva e poi la mano di Mario. Tirò il grilletto senza tensione, già conoscendo il suono che ne sarebbe uscito, di percussore che scarica la sua forza a vuoto, un suono secco di metallo contro metallo ma senza l’esplosione e il contraccolpo che avrebbero dovuto seguire quel rumore di meccanismo.
Mario approfittò di quell’attimo di sbandamento per tirarsi in piedi, in un modo veloce per un uomo della sua età che lo stupì e rincuorò allo stesso tempo. Mentre strappava via l’arma dalle mani di Valerio pensò anche a come fosse strano che in un momento come quello, di tensione e velocità, gli venissero pensieri tanto assurdi.
Fu rapido nel ricaricare il fucile, un colpo solo, nel portarsi l’arma in posizione ideale per sparare come gli avevano insegnato tanti anni prima, calcio contro la spalla, polso fermo e testa leggermente reclinata nel prendere la mira.
Il ragazzo era ora a una decina di metri da lui e correva in cerca di riparo verso il primo gruppo di alberi poco distante. Non aveva urlato cose, come si sarebbe aspettato Mario, non aveva cercato pietà a parole o nei gesti. Si era solo voltato e messo a correre più in fretta che poteva.
Mentre tirava a sé il grilletto Mario non pensò a nulla, e quando uno sbuffo di fumo sembrò uscire dalla testa del ragazzo già conosceva cosa avrebbe fatto seguito: la schiena che si inarca, le gambe che cedono, il corpo che cade, la faccia per terra e il sangue, lento, a macchiare di scuro la terra e scivolare via.
Raccolse le sue cose in fretta, lo zaino, il mitra, e si avviò verso il sentiero da cui ancora provenivano i colpi della sparatoria.
Passando accanto al corpo di Valerio gli gettò solo uno sguardo, di sfuggita. Avrebbe voluto chiedergli quale fosse stato il motivo di quel tradimento, ma si stupì nell’accorgersi che in fondo non gli importava poi molto saperlo. Mentre si lasciava alle spalle quegli ultimi minuti di vita pensò a cosa era cambiato in lui così tanto. L’eco della battaglia poco lontana lo distolse da quel pensiero e se ne dispiacque, perché gli sembrava un pensiero profondo e degno di essere seguito, ma si sforzò, di non darlo a vedere.