
lunedì 31 ottobre 2011
domenica 30 ottobre 2011
Quintorigo tornate insieme

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venerdì 28 ottobre 2011
Malatisani

Sai, poi hai voglia ad incazzarti sentendo parlare di pensioni sempre più lontane e di licenziamenti facili, promesse ad una Europa che sta diventando sempre più esigente e, non che ci fossero dubbi al riguardo, di fatto padrona della politica nostrana, quando chi le vivrà sulla propria pelle non trova di meglio che accalcarsi alle inaugurazioni di un paio di centri commerciali, a Roma come a Torino. Per carità, mica ci si aspettava niente di diverso. La realtà la si conosce, e i propri simili anche, per cui lo stupore è solo un riflesso condizionato. Chi lo sa, forse sono tutti consapevoli della situazione e siamo ormai al classico finché ce n'è, viva il Re, oppure -più probabile- di andare a scatafascio ce lo strameritiamo, visto il menefreghismo imperante. Quel che è certo è che mi pare si sia perso del tutto il senso di cosa conti davvero. E' un mondo di malatisani questo, e allora -davvero- sarebbe "meglio la fine, che un lieto fine incolore".
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sabato 22 ottobre 2011
Different ways

Ieri notte ho fatto tardi perché mi sono inchiodato al televisore, raitre, Fuori Orario, a guardare il documentario datato 2008 di Philip Davis Guggenheim, It Might Get Loud, documentario sulla chitarra elettrica vista dai rappresentanti di tre generazioni di chitarristi, Jimmy Page, The Edge e Jack White. Non lo avevo mai visto tutto, giusto qualche spezzone qua e là, e l'ho trovato veramente ben fatto. Ne viene infatti fuori un discorso che va al di là della musica in sé, dell'approccio strettamente legato allo strumento e alla sua evoluzione, ma tocca il tema più ampio del cambiamento generazionale e delle difficoltà legate al proprio tempo. Se un Jimmy Page, espressione degli anni sessanta/settanta assurto a mito per ciò che ha introdotto (mito pure per chi non ti aspetti, basta guardare gli occhi dei suoi due colleghi), ha avuto il merito di aver aperto una strada ricevendone molto in cambio, e se un David Howell Evans detto The Edge ha proseguito il discorso negli anni ottanta/novanta, affinandolo, ricevendone in cambio molto di più (moltissimo di più, se andiamo a vedere il fatturato degli U2), un John Anthony Gillis aka Jack White, espressione degli anno zero, ha dovuto invece faticare non poco per trovare una propria dimensione, sperimentando (usando chitarre riadattate o di scarso valore) e cercando strade alternative, tra cui una ricerca esasperata del look come mezzo per arrivare a più gente possibile. Indovinate un po' a chi vanno le mie simpatie.
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martedì 18 ottobre 2011
Rivoluzione d'ottobre

Comunque io oltre ad arrivare sempre tardi sono anche scettico di natura, e se uno mi dice facciamo la rivoluzione, e non parlo di quelli degli spettacolini, parlo degli altri, la prima cosa che mi viene in mente è: per poi fare che? In genere qui le risposte sono tante e variegate, ma spesso si sintetizzano in un "cambiare tutto" che, scusate, ma non so se a me va tanto bene: ci sarà bene qualcosa che vale la pena di tenersi, penso, magari quell'altra paroletta, democrazia, che oggi qua funziona male, ma come idea non è proprio tutta da buttare, no? Se poi quelli che cambieranno tutto è gente che non si fa scrupolo di tirare sassate in testa al "nemico" (e meno male che siamo ancora fermi lì), sfasciare quello che gli capita a tiro con particolare predilezione per gli arredi urbani, tirare fuori dalle tasche verità assolute come fossero caramelle e indicare chi non si trova d'accordo con questi metodi come uno colluso al sistema, beh, io scusate ma di questi mi fido proprio per niente.
Per cui (e qui un bel chissenefotte ci può pure stare) io la rivoluzione non la voglio fare, ché per natura mi piacciono poco i cambiamenti climatici improvvisi figuriamoci quelli socioeconomici, e pure alle manifestazioni colorate finto autoconvocate a cadenze settimanali mi son rotto di starci dietro (ma questo s'era già capito). E questo (lo dico, perché qua pare che per forza devi essere o bianco o nero) non significa affatto che le cose mi vadano bene così, che non ritenga possibile un cambiamento. Lo ritengo possibile certamente, come questi nuovi rivoluzionari da corteo+aperitivo, ma il cambiamento che io mi auguro è soprattutto nella testa e nella coscienza della gente, e la differenza tra me e loro è che io non credo affatto che perché ciò avvenga sia necessario sfilare di continuo col rischio che a qualcuno prudano le mani, sfasci tanto per sfasciare e autorizzi quindi chi governa a tirare mazzate come gli capita, sia vere che metaforiche, cosa che tra l'altro avviene in maniera abbastanza puntuale, prevedibile e con il tacito consenso della maggioranza pecorona che di rivoluzioni e manifestazioni nulla ne sa e nulla ne vuol sapere.
Ad ogni modo il vero cambiamento alla fine penso avverrà naturalmente, e sarà come riguardare un video degli anni ''80: stupirsi cioè di poter essere stati e aver vissuto in quel modo. Avverrà, ne sono certo, nel momento in cui la maggioranza delle persone sarà arrivata a comprendere ciò che oggi credono in pochi, ma sarà per loro esperienza diretta, come lo è stato per gli altri, e non certo per le parole che uno può sprecare tempo a dire, o per le marce che uno può sfiancarsi a fare: mi spiace dirlo, perché mi ci metto pure io in mezzo, ma quelle servono solo a chi le dice e a chi le fa. E sarà buffo, una volta arrivati alle meta, vedere chi oggi attende la rivoluzione sperare ancora e sempre in un'altra.
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sabato 15 ottobre 2011
Sempre più distante

E poi, l'indignazione. Io sono stato indignato, per parecchio tempo, da parecchio tempo. Mi sono indignato a causa della politica, dell'economia, del modello di pensiero dominante, del sistema globale, per un fracco di cose, e che così non poteva andare non è certo una novità. Ho sprecato fiato a dire cose, energie a portare avanti perlomeno un discorso personale coerente, non accettando, rifiutando nei limiti del possibile ciò che non mi suonava giusto, anche a costo di pagarla di persona come è successo: non ti ritrovi precario a quarantaquattro anni per caso, d'altronde. Ma ora, che tutti si indignano e si arrabbiano, pure i miei colleghi di lavoro berlusconidi destrorsi verdelega fregati dai loro deputati, mi accorgo che in me l'indignazione non c'è più, ha lasciato posto a un sentimento diverso che non ho ancora inquadrato. Non è proprio indifferenza in verità, e nemmeno rassegnazione, quella mai, piuttosto preoccupazione. Perché è vero, la rabbia è un'energia, e non so questa rabbia crescente in che direzione porta, e perché è vero e già sperimentato che per non cambiare niente bisogna cambiare tutto. E' un rischio questo, che si corre ogni volta che si tira fuori la parola rivoluzione, tornata di moda in questi giorni. Mi accorgo allora che io non vorrei cambiare tutto tutto, solo qualcosa. Quello che non va. Mi rendo conto che il mio voto sempre più a sinistra che potevo è sempre dipeso anche dal fatto che la maggioranza invece tirava a destra, e una cosa troppo sbilanciata prima o poi fa danno. E' un po', tanto per dire, come se si dovesse tirare da terra una barca lungo un fiume. Perchè vada dritta bisogna che le funi tirino da entrambi i lati, da destra come da sinistra, che se tiri da una sola parte è naturale che prima o poi vada a sbattere. E' quello che è successo, mi pare. Dicendo questo, alla fine qualcuno potrebbe dirmi che la mia appartenenza politica è una questione vettoriale più che ideologica, ma bisogna tenere conto che ovviamente uno la sponda da cui tirare se la sceglie, e qui la fisica non c'entra proprio nulla.
Va beh, sono le quattro del pomeriggio. Le cronache dicono che giù a Roma qualche pirla si diverte a dar fuoco alle auto e a distruggere vetrine. Io mi sento sempre più distante.
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venerdì 14 ottobre 2011
giovedì 6 ottobre 2011
Sai mai dove vai a finire

Ma quella faccia, quel volto, uno smaccato Robert Smith depresso, va oltre il semplice pensiero di aver proprio voglia di andare al cinema a vedermelo. Questo nuovo lavoro italiano dal gusto internazionale (spero che sia meglio dei Muccino!) mi fa venire in mente il Robert Smith originale (che c'entra nulla col film) e a tutto il tempo trascorso dal mio primo ascolto di In Between Days. Ad amici con cui l'ascoltavo che si torturavano i capelli di lacca e gli occhi di rimmel. Ai loro vestiti neri, e alle visite all'Inferno, negozio di Torino, dove li accompagnavo a comprare camicie con le croci in anni in cui odiavo questa città, la sua aria grigia e il suo corredo di tossici sotto i portici di via Po. Al fatto che dicevo che mai e poi mai ci sarei voluto venire a vivere (davvero, mai dire mai). Che mi colpisce di più uno sguardo malinconico di uno sguardo sorridente, e dei primi non ne vedo molti in giro e sembrerebbe un bene, ma è solo perchè la malinconia la si nasconde, mentre è solo l'altra faccia della medaglia. Che se non puoi essere allegro allora tanto vale essere depressi, almeno sei qualcosa.
Che a lasciar liberi i pensieri, cazzarola, non sai mai dove vai a finire.
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mercoledì 5 ottobre 2011
Anni sabbatici

Arrivo, dopo aver fatto lo stesso percorso, essermi fermato agli stessi semafori, aver cristonato contro le stesse mamme accompagna-il-bambino-a-scuola che lasciano l'auto in quarta fila.
Parcheggio al solito posto, risalgo sempre al terzo piano e mi risiedo alla scrivania, che è come l'ho lasciata, con ancora gli oggetti che avevo abbandonato pensando di non farmene più nulla. Mai dire mai, me li ritrovo invece, e i colleghi in ufficio sono gli stessi di allora, e i capi sempre loro, e il lavoro sempre quello, solo alcune facce nuove tra i dipendenti a cui ci si abitua presto. Qualcuno nello stabile che ospita altri uffici mi riconosce e scherzando mi chiede se ho finito le ferie. Massì, facciamo finta che sia andata così.
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