venerdì 17 febbraio 2012

Come in una fiera dell'est

Ci sono stati giorni in cui ho davvero avuto voglia di lavorare. Non sono questi. Per dirla tutta non lo sono da un bel po'. Non so se è solo colpa mia. Forse sì, ma è dovuto a uno scazzo più generale, o almeno io lo noto in tanti. Sarà questo clima di crisi oramai perenne in cui ti costringono a vivere a fartela passare la voglia: d'altronde che ti sbatti a fare, se tutto ciò che ti è concesso è far girare il mese e ancora grazie? Dice, devi trovare dentro te gli stimoli: bello, vero. Ma, e se uno li cerca e non li trova? Lavoro da venticinque anni, sempre sotto altri, tranne una rara parentesi. Ecco, la rara parentesi. Quella era stimolante. Dice, allora fai quello: bello, vero. Ma, e se uno si è già giocato il jolly, quello della serie "se-non-lo-faccio-adesso-non-lo-faccio-mai-più", con una buona dose di coraggioso "o-la-va-o-la-spacca" che a cosa fatte, anni di mazzo inutile dopo, ha come risultato dato "la-spacca"? Hai voglia a dire fai quello, ché l'hai già fatto quello. La sola idea di rifarlo, per quanto te lo risogni tutte le notti un lavoro così (bello, soddisfacente, gratificante, guadagno zero, debiti tanti ma gratificante), ti fa venire tutta una serie di pensieri tra il vorrei ma non posso (più) frustranti come quelli di un eunuco in un harem. Che oggi il periodo è quello che è, le mie tasche sono quelle che sono, il conto in banca è da lasciamo perdere, e c'è il dentista da pagare, la macchina da cambiare, il debito pregresso da appianare, e c'è il lavoro attuale che nonostante mille rassicurazioni resta precario, e c'è l'età che mannaggia avanza, e c'è che ormai sono da anni fuori dal giro, insomma tanti etc etc etc che sommati l'un l'altro ti portano a una roba che assomiglia maledettamente a una -non vorrei usare il termine, ma per comodità conviene chiamare le cose col loro nome- depressione. Ma le mie depressioni sono sotto controllo da lustri, che mi freghi una volta poi basta, quindi quella matassa informe tutta collegata di pensieri che diventano aspirazioni, che diventano desideri, che diventano progetti, che si trasformano in velleità, che rimangono sogni, che si trasformano in frustrazioni, tutta una fiera dell'est che è sempre lì che gira e girando diventa energia che non sai dove mettere, e finisci per buttartela addosso in variegati autolesionistici modi che passano sotto il nome di psicosomatismi di cui si è diventati col tempo esperti e maestri (dimmi dove hai male, ti dirò chi sei). Ma non puoi lamentarti, che dice c'è gente in giro che sta peggio, ed è qui che si chiude il cerchio: ti puoi manco lamentare, cazzarola!
E allora dice che fai? In apparenza niente, si aspetta che la voglia di lavorare ritorni. In realtà provi e riprovi a districare e dare corpo alla matassa di cui sopra. Spezzare il cerchio, avverrà prima o poi (i pensieri sono sostanza in embrione), anche se quarantaquattro primavere hanno insegnato che sembrerà non dipendere da te. O forse non ci si riuscirà e si rimarrà intrappolati nel circolo viziosissimo fatto di pensieri-aspirazioni-desideri-progetti-velleità-sogni-frustrazioni, come oggi, a volte di più a volte di meno. Forse a voi non sembrerà, ma pure questo è vivere.

4 commenti:

dtdc ha detto...

non per incoraggiarti tanto per farlo -che io non sopporto chi da le pacche sulle spalle e pensa un'altra cosa- ma la pacca sulla spalla te la do sinceramente. Da come scrivi sembri giovanissimo. 25-30 anni al massimo. cioè, nonostante i temi che tratti che spesso evocano cupezze varie, trasmetti energia e leggerezza, almeno a me. E secondo me hai tanto ancora da esprimere. E te l'ho detto altre volte, scrivi benissimo. Anch'io come te faccio bilanci e bilancini che non tornano ma attendo l'illuminazione; non sono ancora pronto, mi dico, quando lo sarò tutto verrà da sè, come un temporale dopo mesi d'afa soffocante, anche a 45 anni.
Buon tutto Rouge, a presto!

Rouge ha detto...

@ Bruno: non siete in tanti a capire che dietro il cupo c'è tutt'altro. Buon tutto anche a te.

Hassan Bogdan Pautàs ha detto...

Tre cose:

1. Mai sovrapporre l'immagine scritta a quella vissuta: spesso ci liberiamo delle emozioni più negative lasciandole sulla carta, per dare spazio e respiro ai piaceri della vita. Chi giudica la nostra vita sulla base di ciò che scriviamo sbaglia di grosso.

2. La Fiera dell'Est che descrivi, anche se ho otto anni meno di te, mi sembra semplicemente la vita di tutti. Con una sola differenza: alcuni hanno il coraggio di raccontarla, altri fingono di viverla.

3. Noi - io - siamo cresciuti con l'idea che fallire sia un peccato mortale. Non è così: solo fallendo si impara. L'importante è farlo presto: tu e io lo abbiamo fatto, e per questo che le nostre vite sono ancora piene di curiosità.

H.


P.S.: Quando hai voglia di bere una sana birra tra amici, fatti sentire. Così ci ridiamo sopra :)

Rouge ha detto...

@ Hassan: Sul primo punto ci hai preso in pieno. E' solo terapia.
Sul secondo non saprei dire, né sul coraggio, né sulla finzione.
Sul terzo direi che non è che c'avessi tutta 'sta voglia di imparare.
Sulla birra in genere dico mai no.