lunedì 16 agosto 2010

Agosto '44

(Se avete tempo da perdere.......)
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La voce continuava a risuonargli in testa e le parole si ripetevano uguali, infinite volte: “Allora intesi, voi due rimanete qui fino a domattina”, dicevano e anche “Occhi aperti, mi raccomando”, e poi parole come “coraggio” e “compagni”, forse anche suoni di saluto, e nella mente rivedeva, da lontano, l’uomo della voce scomparire nel bosco proprio sopra di loro. Lo videro, lui e Valerio, inerpicarsi sul sentiero usato dai taglialegna e ne udirono i passi ancora per qualche minuto, poi il silenzio si fece intenso, ognuno si rifugiò nei propri pensieri, che per lui erano quel ripetersi uguale di una situazione banale.
Il compagno di quella veglia, Valerio, almeno così si faceva chiamare, si era accovacciato a ridosso di un pino. Teneva in mano il vecchio fucile e ogni tanto lo stringeva più forte. Lui stava di fianco, il mitra posato davanti pronto ad essere imbracciato, e guardava la valle sotto di loro mentre lasciava spazio a quegli unici pensieri dettati dalla stanchezza.
Come postazione era ben scelta. Dietro erano riparati dal Gran Bosco, e l’unica strada che veniva da sopra era quella che portava al rifugio dove i compagni avrebbero trovato riparo, un paio d’ore di cammino più a monte. A poca distanza dalla postazione c’era una specie di bunker in cemento dove poter riparare in caso di attacco, probabile quella notte. Da lì potevano controllare la strada che saliva dalla frazione e riuscivano a vedere fino giù, in paese, dove le forze nemiche si erano assestate, e in caso di un loro movimento avvisare in qualche modo i compagni in fuga.
“Pensi che verranno?” chiese Valerio rompendo il silenzio.
Mario si girò verso il ragazzo, stupito da quella domanda. Era certo che sarebbero venuti. Da giorni non facevano altro che braccarli, spingendoli sempre più su per le montagne e adesso che li avevano a portata di mano non si sarebbero certo lasciati sfuggire l’occasione. Avrebbe voluto dirgli di non fare domande stupide, ma Valerio era giovane, troppo per quelle cose, e inoltre mostrava segni di nervosismo da quando il loro comandante Lupo li aveva destinati a quell’incarico: “occhi aperti, mi raccomando”. Chissà perché Lupo aveva deciso di lasciare in mano a un vecchio e a un ragazzo quell’incarico così delicato. Ma forse era una domanda stupida anche questa: un vecchio e un ragazzo sono più sacrificabili di altri, e un capo deve saper prendere anche decisioni difficili.
“Forse”, rispose Mario e fece per accendersi una sigaretta.
La teneva nascosta nel palmo della mano, per evitare bagliori, un gesto ripetuto tante volte nelle notti di guardia in trincea, quasi trenta anni prima. Aveva passato gran parte della sua vita a combattere, senza avere possibilità di scelta, spesso senza manco chiedersi il perché. L’unica volta che aveva potuto scegliere il destino lo aveva portato su una montagna del Piemonte, a mille e più km da casa, e ora gli chiedeva di dividere la guardia con un ragazzo di un terzo dei suoi anni.
“Vuoi?” chiese Mario porgendo la mano con la sigaretta a Valerio.
“No", rispose senza girarsi, "Non fumo”.
“Male. Di un uomo senza vizi non c’è da fidarsi” disse il vecchio abbozzando un sorriso.
Valerio si voltò a guardarlo, di scatto.
“Ehi, non volevo offenderti”, disse Mario, “E’ per sdrammatizzare”.
Il ragazzo voltò la testa a valle e strinse le mani sul fucile ancora più forte.
Trascorsero alcuni minuti in cui il solo rumore era dato dal bosco che si agitava alle loro spalle. Mario pensò che forse non era il caso di voler sdrammatizzare. Forse il ragazzo era uno di quelli che prendeva la faccenda seriamente e bisognava lasciarlo stare. Per quello che lo riguardava non prendeva più seriamente quel genere di cose ormai da tempo. Erano cose della vita, punto e basta, non valeva la pena dargli troppa importanza. Era un buon modo per rimanere vivi, pensava, quello di non aver paura di morire.
“Tu pensi che io non valga nulla.” disse Valerio interrompendo il pensiero di Mario, a cui ci volle un attimo prima di rispondere con un tono un po’ scocciato, perché i pensieri che gli stavano venendo gli sembravano piuttosto profondi e degni di essere seguiti, ma si sforzò di non darlo a vedere.
“Non ho detto questo”, disse, e non avrebbe voluto proseguire, ma il ragazzo continuava a guardarlo come se aspettasse un seguito alla sua risposta, e in effetti, pensò Mario, da come la aveva posta lui stesso un seguito sembrava dovesse esserci. In realtà finora non si era posto il problema di farsi una idea del ragazzo, gli sembrava una operazione inutile. Se davvero non valeva nulla si sarebbe visto, presto o tardi, e se valeva qualcosa lo avrebbe dimostrato, presto o tardi. Disse infine, ma solo perché non gli sembrava giusto negare a un giovane almeno il conforto delle parole, che in realtà non lo conosceva e quindi non poteva giudicarlo, sempre che bisognasse farlo.
Il ragazzo continuava a fissarlo. “Non è stata colpa mia” disse piano, abbassando gli occhi.
“Ormai è fatta” rispose Mario aspirando una boccata di fumo, poi lo invitò a stare tranquillo e a riposare: “Il primo turno lo faccio io. Ti sveglio tra un paio di ore per darmi il cambio”.
Valerio seguì il suo consiglio e si sdraiò voltandogli la schiena, lui cercò una posizione più comoda e guardò in basso, a valle.
Era una notte serena e la luna illuminava bene il sentiero sotto di loro. Lontano, giù, in paese, le luci erano tutte spente, e per quel che si poteva vedere tutto sembrava tranquillo. L’uomo si concentrò meglio sulle case dabbasso, cercando di scorgere qualche segnale di movimento, ma non vide nulla oltre quello che gli parve un cane nel cortile adiacente una specie di fienile.
“Non è stata colpa mia”, Mario ripensò a quelle parole e decise che forse davvero non lo era stata. Cose che capitano in guerra, si disse. Lui non aveva partecipato all’azione, gliela avevano raccontata più tardi i compagni che ora, come loro, erano costretti alla fuga.
Aveva sentito diverse versioni, discordanti tra loro. Qualcuno diceva che Valerio, il giorno prima quando era sceso in paese per le provviste, non aveva preso i dovuti accorgimenti e si era fatto notare troppo, forse seguire. Qualche altro era arrivato a dire che era stato proprio lui a indicare ai loro nemici la strada per arrivare al rifugio dove erano nascosti costringendoli a fuggire, e lo aveva apertamente accusato, tanto da far intervenire Lupo a metter pace e sedare la rissa che ne era nata. Alcuni dei compagni non si fidavano di questo Valerio, giunto nel loro gruppo poco tempo prima e che nessuno conosceva. Era giovane, classe ’27, senza nessuna esperienza militare, e forse era questo che rendeva diffidente la maggior parte del gruppo, quasi tutti reduci del regio esercito con anni di servizio all’attivo.
“Ad ogni modo”, pensò Mario, “stupido o traditore non cambia il fatto di dover scappare”.
Gli piaceva questo suo aspetto di prendere le cose per come venivano, un senso di fatalità innato, per quello che ne poteva sapere. Finora gli era andata bene ragionando così, non vedeva motivo per doverla pensare diversamente. Qualcuno del gruppo che aveva studiato più di altri gli aveva affibbiato il nomignolo di Magna Grecia, sia per la sua provenienza meridionale che per quel suo modo di filosofeggiare. Gli andava bene, il nomignolo, anche se non sapeva bene cosa intendessero, però sapeva che magno significava grande e la Grecia era la Grecia, per cui non ci vedeva niente di male se lo chiamavano così.
Prima che le due ore scadessero Valerio era già sveglio. Aveva dormito poco e male, quasi niente, rigirandosi spesso sulla terra umida, sempre col fucile ben stretto fra le mani. Quando chiese il cambio a Mario i suoi occhi erano un po’ gonfi di sonno insoddisfatto e la sua voce incrinata da una malcelata tensione.
Mario gli disse che finora era tutto tranquillo e subito si sdraiò supino cercando di dormire.
Pensò, prima di prendere sonno, a una situazione simile di molti anni prima, quando il più giovane era lui e il suo compagno di allora stette sveglio tutta la notte. Attribuì quella scelta a mancanza di fiducia e per questo, ora, anche se la fiducia non era totale, si impose di chiudere gli occhi e dormire.
Quando li riaprì un fucile era a un palmo dal suo naso e attorno a lui si agitavano figure scure, molte.
“Cazzo” esclamò facendo un movimento per tirarsi su.
L’uomo che gli puntava il fucile fece il gesto eloquente di prendere la mira e sibilò piano, sorridendo, “Shhh!”.
Mario cercò di guardarsi attorno. Vide almeno una ventina di figure con la divisa scura transitare lungo il sentiero e Valerio parlare con uno di loro. Non sentiva cosa si stessero dicendo, ma quello che sembrava comandare la pattuglia puntava il dito verso la sua direzione, mentre Valerio sembrava stesse protestando. La discussione durò poco e al termine Valerio si diresse verso Mario, mentre il comandante faceva un gesto verso l’uomo che lo teneva sotto mira. Questi prima di voltarsi indietreggiò di un paio di passi, sempre tenendo l’arma puntata, e l’abbassò solo quando Valerio lo ebbe raggiunto per dargli il cambio. A Mario parve di vedere nuovamente un sorriso, tronfio, sul volto dell’uomo col fucile mentre incrociava lo sguardo del ragazzo che arrivava a passi lunghi.
Il gruppo si allontanò in fretta lungo il sentiero, piuttosto silenzioso. Mario si mise a sedere incrociando le gambe, Valerio gli si pose davanti, fucile in mano.
Il vecchio fece per prendere una sigaretta portando la mano verso il taschino della giacca, ma si bloccò nel momento in cui il ragazzo gli puntò l’arma contro.
“Vuoi?” chiese Mario con un mezzo sorriso.
“Ti ho già detto che non fumo” rispose seccato Valerio.
L’uomo si portò la cicca alle labbra e cercò più del dovuto con le dita nel fondo della tasca. “Già”, disse, “Non fumi, e non bevi, e parli sempre poco”. Sfregò il fiammifero senza preoccuparsi della luce che avrebbe fatto la fiamma e tirò poi una boccata lunga dalla sigaretta accesa, senza aspirare il fumo che uscì dalla bocca corposo e grigio.
“Quanto ti hanno pagato?” chiese.
“Non è per i soldi” rispose pronto Valerio.
“No? E per cosa, per avere salva la vita?” Mario teneva le gambe incrociate e le braccia attorno alle ginocchia, stava seduto mantenendosi in equilibrio in questo modo e tirava dalla sigaretta a intervalli regolari. Ogni volta inspirava a fondo e rilasciava il fumo quasi subito. Gli piaceva vedere il contrasto della luce notturna su quel rivolo grigio che gli usciva dalla bocca.
Mentre aspettava una risposta che non arrivava notò il suo mitra a qualche metro di distanza, poco più in basso. Si chiese se fosse stato Valerio a buttarlo lì o se erano stati invece quelli che li braccavano. Pensò che non sarebbe mai potuto arrivare all’arma, che era stato ingenuo per non dire stupido a fidarsi di quello strano ragazzo, che avevano avuto ragione alcuni dei suoi compagni. Che era inutile pensare a quelle cose.
Valerio non rispondeva e Mario provò a incalzarlo.
“Io invece pensò che ti abbiano pagato. Preferisco pensare che ti abbiano pagato. Se uno si vende per soldi lo capisco, se lo fa per paura è solo un vigliacco!” La sua voce andò indurendosi mentre diceva la frase e l'ultima parola arrivò dritta dove voleva arrivare, Valerio infatti reagì di scatto: “Non sono un vigliacco!”. Lo disse a voce alta, portandosi il fucile alla spalla, puntandolo dritto verso gli occhi di Mario. Questi tirò l’ultima boccata e spense la cicca contro una pietra. Il fucile di Valerio sembrava non disturbarlo affatto e l’uomo continuava a muoversi tranquillo, come sempre.
Anche quando udirono l’eco di uno sparo arrivare da poco più a monte l’uomo non si scompose e mantenne la posizione seduta con le braccia a reggere le gambe. Valerio si voltò di scatto a guardare nella direzione da cui era arrivato il suono e lo calcolò molto vicino. Altri spari seguirono il primo e in un attimo la valle fu inondata dell’eco di uno scontro che stava avvenendo a poche centinaia di metri da loro. Si udivano anche voci indistinte e a volte urla più forti.
Valerio era confuso, era trascorso troppo poco tempo da quando la colonna degli inseguitori si era allontanata e non era possibile che gli spari venissero dal rifugio a monte, a meno che…. Il pensiero lo fece girare verso Mario e fargli dire col tono di chi ha appena avuto una rivelazione “Non sono andati al rifugio. Sono rimasti nel bosco”.
“Così pare” disse Mario.
Restarono a guardarsi per qualche secondo, poi il vecchio mise una mano nella tasca della giacca, la tirò fuori stringendo una manciata di proiettili calibro 6,5 mm.
Valerio sussultò, forse cominciando a capire, guardò il fucile che stringeva e poi la mano di Mario. Tirò il grilletto senza tensione, già conoscendo il suono che ne sarebbe uscito, di percussore che scarica la sua forza a vuoto, un suono secco di metallo contro metallo ma senza l’esplosione e il contraccolpo che avrebbero dovuto seguire quel rumore di meccanismo.
Mario approfittò di quell’attimo di sbandamento per tirarsi in piedi, in un modo veloce per un uomo della sua età che lo stupì e rincuorò allo stesso tempo. Mentre strappava via l’arma dalle mani di Valerio pensò anche a come fosse strano che in un momento come quello, di tensione e velocità, gli venissero pensieri tanto assurdi.
Fu rapido nel ricaricare il fucile, un colpo solo, nel portarsi l’arma in posizione ideale per sparare come gli avevano insegnato tanti anni prima, calcio contro la spalla, polso fermo e testa leggermente reclinata nel prendere la mira.
Il ragazzo era ora a una decina di metri da lui e correva in cerca di riparo verso il primo gruppo di alberi poco distante. Non aveva urlato cose, come si sarebbe aspettato Mario, non aveva cercato pietà a parole o nei gesti. Si era solo voltato e messo a correre più in fretta che poteva.
Mentre tirava a sé il grilletto Mario non pensò a nulla, e quando uno sbuffo di fumo sembrò uscire dalla testa del ragazzo già conosceva cosa avrebbe fatto seguito: la schiena che si inarca, le gambe che cedono, il corpo che cade, la faccia per terra e il sangue, lento, a macchiare di scuro la terra e scivolare via.
Raccolse le sue cose in fretta, lo zaino, il mitra, e si avviò verso il sentiero da cui ancora provenivano i colpi della sparatoria.
Passando accanto al corpo di Valerio gli gettò solo uno sguardo, di sfuggita. Avrebbe voluto chiedergli quale fosse stato il motivo di quel tradimento, ma si stupì nell’accorgersi che in fondo non gli importava poi molto saperlo. Mentre si lasciava alle spalle quegli ultimi minuti di vita pensò a cosa era cambiato in lui così tanto. L’eco della battaglia poco lontana lo distolse da quel pensiero e se ne dispiacque, perché gli sembrava un pensiero profondo e degno di essere seguito, ma si sforzò, di non darlo a vedere.

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