domenica 22 agosto 2010

Businness as usual


Uno studio della ricercatrice Sharon Lamb dell' Università del Massachussets sui comics americani ha posto l'accento sul carattere diseducativo che contraddistingue i supereroi attuali, egoisti cattivi e dediti a una violenza fine a se stessa, a differenza dei loro predecessori quasi tutti animati da sentimenti di solidarietà e giustizia. Facendo un po' di confusione tra eroi visti al cinema e quelli sulla carta stampata, la Dottoressa punta l'indice sull'evoluzione di personaggi come Iron Man, dove il multimiliardario Tony Stark quando non indossa la corazza rossa e oro è dedito a sciupare femmine e a spendere e spandere, mentre un tempo gli eroi quando smettevano le calzemaglie e tornavano in abiti civili erano in tutto e per tutto persone comuni con difetti e carenze in cui potersi identificare, si pensi al Clark Kent/Superman timido e impacciato o al Peter Parker/Spiderman adolescente sfigato.
Dallo studio condotto tra lettori e operatori del settore emerge come ai lettori di oggi vengano proposte due sole tipologie di eroi dove in entrambi si è persa la dimensione umana: il cosiddetto player, eroe a tempo pieno animato perlopiù da desideri di vendetta con scarso senso di solidarietà, e lo slacker, un personaggio buffo, comico, disimpegnato e deresponsabilizzato, entrambi cattivi modelli per i giovani odierni.
In effetti se si sposta l'attenzione sulle trasposizioni cinematografiche dei personaggi fumettistici verrebbe da dar ragione allo studio della ricercatrice americana e a constatare come la distinzione fra eroe/bene e cattivo/male è venuta via via scemando fin quasi ad annullarsi. Batman ad esempio è passato dalle fattezze rassicuranti di Michael Keaton e George Clooney, che con Val Kilmer hanno interpretrato l'Uomo Pipistrello nei primi film della serie, ai tratti antipatici e duri di Christian Bale nelle ultime due pellicole. Anche i villains hanno subito un mutamento in peggio, evidente se si paragona la visione ingenua e caricaturale del Joker interpretrato da Jack Nicholson nel primo film di Tim Burton del 1989, a quella intrisa di violenza e follia allo stato puro dell'interpretrazione, magistrale, di Heath Ledger nell'ultimo film della serie, Il Cavaliere Oscuro del 2008. In quest'ultimo film in particolare la contrapposizione buono/cattivo viene meno in maniera eclatante: il Joker è uno psicopatico assassino senza scrupoli di sorta (ma è quello che suscita le simpatie maggiori), il procuratore Harvey Dent (buono) diventa Two Face (cattivo), il tenente Gordon non esita a mentire alla propria famiglia seppure in buona fede, Batman stesso non esita a usare modi violenti pur di arrivare a sconfiggere il suo nemico (in una scena di inseguimento a bordo della Batmobile causa più incidenti lui che il Joker) e alla fine ad accettare coscientemente il ruolo di cattivo, necessario tuttavia per sconfiggere il male. Il tutto si muove in un clima da apocalisse dove i soli messaggi positivi arrivano dal maggiordomo Alfred, ma è impensabile che qualcuno prenda ad esempio un servitore, e da un ergastolano che si rifiuta di far saltare una nave (idem come sopra). In tutto il film quindi i concetti di bene e male sono confusi e spesso ribaltati, lasciati più che altro all'interpretrazione di chi assiste.
Accenni di deriva si erano visti anche in Spiderman 3, seppure in maniera meno marcata, quando con l'arrivo del clone il timido Peter Parker aveva assunto atteggiamenti arroganti e antipatici che però gli garantivano fortuna e successo. Qui però l'eroe torna presto in sè, ma rimane il dubbio che ad essere egoisti e scorretti qualche vantaggio lo si ricava.
C'è da dire che rivisitazioni di modelli in chiave degenerativa si erano visti anche in ambiti non strettamente fumettistici ma che riguardavano pur sempre eroi modelli di riferimento, basti pensare allo 007 attuale interpretrato da Daniel Craig e confrontarlo con il James Bond recitato da Sean Connery per accorgersi che qualcosa è cambiato con l'andare degli anni.

Teorie fantasiose vogliono certe scelte un preciso disegno di indirizzamento sociale, data la quantità di persone che questi prodotti riescono a raggiungere e, si pensa, a influenzare. Se pensiamo all'utilizzo che a volte si è fatto di alcuni eroi, come il Capitan America anni '40 impegnato contro i Nazisti, o certe uscite editoriali post settembre 2001, verrebbe quasi da crederci, non fosse che la realtà probabilmente è molto più semplice se si ribalta la questione su chi influenza chi, e su cosa sia il fumetto americano.
A differenza del fumetto nostrano che mantiene, o cerca di farlo, un carattere artistico, negli Stati Uniti i comics, così come il cinema, sono quasi esclusivamente un fenomeno commerciale. Nascono sulle pagine dei quotidiani per far vendere di più, crescono poi autonomamente per raggiungere il maggior numero possibile di persone e quindi vendere il più possibile. Ovvio dunque che seguano regole più commerciali che artistiche, adattandosi ai tempi e inseguendo i gusti, spesso solo presunti, della gente. Mentre in Italia un personaggio come Tex Willer resiste per cinquant'anni senza cambiare una virgola dell'impostazione originale in barba al cambiamento dei tempi, adattando le logiche commerciali non al carattere del personaggio ma ad aspetti secondari del prodotto (diversificando le uscite, proponendo ristampe o versioni diverse), in America il gusto dei lettori ma soprattutto la necessità di un ritorno economico è prioritario e decisivo nella scelta delle storie. Soluzioni come la Morte di Superman, il cambio di costume di Spiderman o altre trovate del genere si spiegano solo in questo modo del resto.
Negli anni '60 l'esplosione dei personaggi Marvel fu dovuta all'intuizione geniale di autori come Stan Lee e Jack Kirby che capirono lo spirito dei tempi e proposero modelli di eroi che potessero incontrare il favore del pubblico, cosa che avvenne con successo. Le nuove generazioni di americani avevano fame di cambiamento, spirito di contestazione, desiderio di nuovo, problematiche diverse da quelle dei propri genitori e, soprattutto, più dubbi rispetto a loro. Eroi tutto d'un pezzo come Superman o Batman o altri dell'universo DC, integerrimi e sempre leali anche nella vita privata e che non mettevano mai in discussione i loro principi ispiratori, erano distanti dal loro sentire, mentre i "supereroi con superproblemi" di nuova generazione furono senz'altro più vicini ai loro sentimenti e alle loro aspettative. La violenza in questo genere di fumetto c'era anche allora, l'unica differenza rispetto ad oggi è tutta nel fatto che a menare fosse brava gente per una giusta causa.
Il successo di nuovi eroi come L'Uomo Ragno, i Fantastici Quattro, Hulk, Iron Man, Thor, fece da traino a un vero e proprio universo di eroi, nati per sfruttare il nuovo filone d'oro. Il carattere commerciale alla base era assicurato, e quello moralistico era sempre presente seppure in maniera diversa rispetto al passato, ma qui c'è da ricordare un fattore essenziale: dietro un personaggio c'è sempre chi lo scrive, riflette dunque in qualche maniera il proprio autore. Ognuno di questi autori, tranne rare eccezioni, è influenzato da chi lo ha preceduto, mantiene il messaggio di base e va oltre, proponendo a sua volta il proprio mondo oltre a quello esterno. Quello che accade oggi nei comics e nel cinema a lui legato è dunque figlio di ciò che è venuto prima, e prima c'è stato quel cambiamento epocale avvenuto negli anni '80 ad opera di autori come Alan Moore e Frank Miller coi loro Watchmen e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro. Queste opere hanno rivoluzionato il modo di intendere i supereroi modificandone i principi ispiratori e facendone non più solo un prodotto per adolescenti un po' disadattati ma un prodotto adulto destinato a gente adulta. In Watchmen non più eroi integerrimi e leali con superpoteri e al di sopra della parti, ma semplici uomini con grandi doti ma anche grosse lacune morali, in Batman addirittura si invecchia il protagonista e se ne mostrano tutti i limiti. Se salvaguardiamo alcune opere successive di alcuni disegnatori come Dave McKean e Alex Ross, dove l'elemento disegno è preponderante sulle per quanto valide storie, il fumetto americano supereroistico poteva tranquillamente morire lì, pietre miliari e tombali allo stesso tempo, assoluti capolavori che in qualche maniera, forse non volendo, hanno tracciato una rotta seguita poi da altri.
Il punto è proprio questo. Oggi chiunque scriva comics è destinato a confrontarsi volente o nolente con quelle opere punto di riferimento che hanno influenzato il modo di intendere un supereroe così come a suo tempo era avvenuto con gli eroi Marvel. Se a ciò aggiungiamo il cambiamento avvenuto in seno alla società, diventata più individualista e meno sensibile alle questioni morali, e ricordando che qualunque fumetto è pur sempre una visione distorta di ciò che è reale, ecco che improvvisamente tutto il mondo supereroistico è diventato senza saperlo un prodotto per adulti a cui non necessariamente bisogna aggiungere elementi educativi (si presume che un adulto non ne abbia più bisogno).
C'è da dire che qualcuno si è accorto di come la cosa stesse degenerando molto prima che arrivasse lo studio della Lamb. In Venga Il Tuo Regno del 1996 gli autori Mark Waid e Alex Ross proponevano una lotta fra Superman e altri eroi della vecchia guardia contro le nuove generazioni di eroi, violenti e incuranti del prossimo. Lo stesso Alan Moore dal canto suo dopo aver contribuito a rivoluzionare l'universo supereroistico ha fatto un passo indietro e ha scritto storie di supereroi decisamente più classiche, quasi a voler espiare per aver scritto Watchmen.

In definitiva lo studio della Lamb è veritiero, l'industria dei comics attuale non sforna un prodotto educativo, ma essendo un prodotto commerciale a ben pensarci non si proponeva di farlo nemmeno quella di una volta: se educava era per frutto del caso, dei tempi e della natura dei propri creatori. Semplicemente è cambiato il mondo attorno e i comics coi loro autori lo riflettono, come hanno sempre fatto.

4 commenti:

Gap ha detto...

Complimenti per il saggio sociologico. Completo e condivisibile.

Rouge ha detto...

@ Gap: grazie. Anche per aver avuto la voglia di leggerlo, ultimamente mi dilungo parecchio :)

Gap ha detto...

Non conta la lunghezza, ne dovresti sapere qualcosa delle mie lunghezze,
conta l'interesse per e dell'argomento.

Marte ha detto...

Macchè lungo!E' giusto :)
questo è un blog, non uno spot.