Quand'è che ce lo hanno infilato in quel posto? Metaforicamente, certo, ma è lì che ce l'abbiamo, lo sentiamo tutti i giorni, comunque, chiedevo, quando? Quand'è che tutto è cambiato in quel mondo in cui trascorriamo gran parte dell'esistenza, quelle otto ore giornaliere (un terzo, mica poco) in cui si vende il proprio tempo in cambio di denaro? Quand'è che il nostro tempo ha cominciato a valere così poco?
Torno indietro a guardare, anni passati, noi figli del riflusso catapultati nel mondo del lavoro modellato a suon di lotte e di botte dai nostri padri. Tutto così facile. Uscire, trovar lavoro, essere pagati il giusto. Diritti acquisiti, poco da conquistare, tutto da perdere. Avremmo dovuto saperlo, che la cosa non era finita lì, che ancora tanto c'era da fare. Nessuno ce lo ha detto, o forse eravamo così intenti a ballare, a berci Milano e a divertirci a più non posso, che non abbiamo ascoltato a dovere. Sembrava tutto così facile. Dei poveri idioti, "pigri di testa e ben vestiti", allocchi attirati da insegne luminose.
E' cominciata lì? Probabile. Recuperare coscienza, se non l'hai formata, è difficoltoso, ma non impossibile. Ma se sei addormentato arrivano giorni come quel 31 luglio 1992, lavoratori già in vacanza, Trentin che firma e si dimette, e noi al ritorno dalla playa con la bella sorpresa di una erosione costante in busta paga. Non un giorno da ricordare come vittorioso, ma ancora tutto sembrava andar bene. Il lavoro, c'era. I diritti, erano ancora lì. Ancora per poco.
4 giugno 1997, governo di centrosinistra (Prodi I), termini nuovi, lavoro interinale, nuovi schiavi, e noi che li vedevamo arrivare ad arrancare un mese o due, nella speranza di una assunzione che quasi mai seguiva, sapevamo che schifezza era. E gli scioperi li facevamo. Per lottare (che bella parola), lottavamo. In nome di cosa, ecco, questo era già poco chiaro. Si è lottato a vuoto, concesso repliche di un copione troppe volte visto, ormai conosciuto, atteso e neanche più recensito. Spettacoli per sempre più intimi, tranne rare eccezioni.
Altra data, 14 febbraio 2003, governo di centrodestra (Berlusconi II): è questo il san valentino da ricordare come pietra tombale sul mondo del lavoro? Nasce qui la generazione dei precari, generata dai figli del riflusso? Forse sì, però non è finita lì: in quel posto ci è stato messo, ora è il caso di renderlo permanente. Altre date si aggiungono, ancora più nere: 15 giugno 2010, accordo di Pomigliano, 15 gennaio 2011, Mirafiori, ma verrebbe da dire Caporetto per quel che ne è venuto dopo. Ed è storia di oggi, e non ci sono Cadorna destituiti e Diaz a prenderne il posto, non si intravede una linea del Piave da difendere, non si vede neanche, il Piave. L'esercito è ormai sbandato, chi ci guida è incompetente, chi è dalla nostra parte è impotente.
La battaglia è perduta, senza dubbio. Adesso tocca solo difendere il posto di lavoro (eccolo lì, il Piave) e ringraziare di avercelo ancora o di trovarne uno, a paga minima s'intende. Intanto festeggiamo per un Fassino o per un Pisapia, per un De Magistris o perchè gli altri perdono, finalmente, e non importa che a vincere sia solo l'altra faccia della medaglia. Piccole consolazioni, dureranno poco: sulle macerie non è semplice ballare.
Torno indietro a guardare, anni passati, noi figli del riflusso catapultati nel mondo del lavoro modellato a suon di lotte e di botte dai nostri padri. Tutto così facile. Uscire, trovar lavoro, essere pagati il giusto. Diritti acquisiti, poco da conquistare, tutto da perdere. Avremmo dovuto saperlo, che la cosa non era finita lì, che ancora tanto c'era da fare. Nessuno ce lo ha detto, o forse eravamo così intenti a ballare, a berci Milano e a divertirci a più non posso, che non abbiamo ascoltato a dovere. Sembrava tutto così facile. Dei poveri idioti, "pigri di testa e ben vestiti", allocchi attirati da insegne luminose.
E' cominciata lì? Probabile. Recuperare coscienza, se non l'hai formata, è difficoltoso, ma non impossibile. Ma se sei addormentato arrivano giorni come quel 31 luglio 1992, lavoratori già in vacanza, Trentin che firma e si dimette, e noi al ritorno dalla playa con la bella sorpresa di una erosione costante in busta paga. Non un giorno da ricordare come vittorioso, ma ancora tutto sembrava andar bene. Il lavoro, c'era. I diritti, erano ancora lì. Ancora per poco.
4 giugno 1997, governo di centrosinistra (Prodi I), termini nuovi, lavoro interinale, nuovi schiavi, e noi che li vedevamo arrivare ad arrancare un mese o due, nella speranza di una assunzione che quasi mai seguiva, sapevamo che schifezza era. E gli scioperi li facevamo. Per lottare (che bella parola), lottavamo. In nome di cosa, ecco, questo era già poco chiaro. Si è lottato a vuoto, concesso repliche di un copione troppe volte visto, ormai conosciuto, atteso e neanche più recensito. Spettacoli per sempre più intimi, tranne rare eccezioni.
Altra data, 14 febbraio 2003, governo di centrodestra (Berlusconi II): è questo il san valentino da ricordare come pietra tombale sul mondo del lavoro? Nasce qui la generazione dei precari, generata dai figli del riflusso? Forse sì, però non è finita lì: in quel posto ci è stato messo, ora è il caso di renderlo permanente. Altre date si aggiungono, ancora più nere: 15 giugno 2010, accordo di Pomigliano, 15 gennaio 2011, Mirafiori, ma verrebbe da dire Caporetto per quel che ne è venuto dopo. Ed è storia di oggi, e non ci sono Cadorna destituiti e Diaz a prenderne il posto, non si intravede una linea del Piave da difendere, non si vede neanche, il Piave. L'esercito è ormai sbandato, chi ci guida è incompetente, chi è dalla nostra parte è impotente.
La battaglia è perduta, senza dubbio. Adesso tocca solo difendere il posto di lavoro (eccolo lì, il Piave) e ringraziare di avercelo ancora o di trovarne uno, a paga minima s'intende. Intanto festeggiamo per un Fassino o per un Pisapia, per un De Magistris o perchè gli altri perdono, finalmente, e non importa che a vincere sia solo l'altra faccia della medaglia. Piccole consolazioni, dureranno poco: sulle macerie non è semplice ballare.
3 commenti:
Un'analisi spietata e dettagliata.
La mia generazione andrà in pensione ormai a settant'anni (mio padre invece nel 1984 c'è andato a 49) e c'è veramente da preoccuparsi per il futuro dei propri figli, che forse non ci andranno mai.
davvero preoccupante!
Agghiacciante disamina del crollo di un certo modo di vivere "il lavoro", e terribilmente vera la definizione che ne dai: "vendere il proprio tempo in cambio di danaro".
Una domanda simile me la sono posta in relazione al cambiamento di quella che era il nostro way of life. Ma è un discorso lungo...
Dopo la vottoria (perché si vince, vero?), ci faccio un post con dedica...
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