martedì 18 ottobre 2011

Rivoluzione d'ottobre

Io arrivo sempre tardi. Prendi certe parole ad esempio, prima che mi accorga che son tornate di moda e sono utilizzate a ogni piè sospinto, fanno in tempo a cambiare, a diventare vecchie e a essere nuovamente riposte nel cassetto. Mai seguito le mode, d'altronde. Ora pare sia di nuovo il turno della parolina "rivoluzione", che come i risvolti ai pantaloni o le tinte pastello ogni tanto torna ad essere usata, o abusata, o tutte e due. Per dire, io mica mi ero accorto che sabato si andava giù a Roma a far la rivoluzione, ho idea che non se ne fossero accorti manco tanti che laggiù c'erano, e probabilmente, visto come è finita, manco chi aveva messo su il baraccone. Ma a quanto pare c'è in giro questa aria rivoluzionaria che soffia un po' da tutte le parti, che partendo dal mondo arabo (che bisogna dirlo, c'entra una beata mazza con noialtri, ma sempre più gente dice che bisogna prendere esempio da là: vabbeh...), e proseguendo per le varie piazze d'Europa e d'America arriva pure da noi, che siamo provinciali e quindi le cose arrivano sempre con un pelino di ritardo. Ma noi siamo pure un paese strano, le parole hanno un po' perso il loro significato, e uno dice rivoluzione ma magari pensa spettacolino di strada molto colorato e rumoroso in grado di far pensare la gente. Però può pure finire che ti ritrovi qualcuno che le parole le prende sul serio, per cui se uno sente dire o legge cose tipo queste qua, è abbastanza naturale che ti ritrovi in men che non si dica con un centro cittadino messo a ferro e fuoco. Insomma, non c'è da stupirsi, e da un certo punto di vista qua il torto è mica da parte di questi black bloc (chiamiamoli così per comodità ché un nome non so se ce l'hanno). Il torto è da parte di chi pensa di essere un rivoluzionario perché pianta le tende, urla a comando, sfila quando è ora, usa slogan coniati da altre parti e frantuma le palle a chi è poco poco scettico sull'utilità di quanto sopra: se vuoi fare la rivoluzione, e beh, non ci son cazzi, quella devi fare, ed è un gran peccato che la rivoluzione per come la si intende normalmente pare si possa fare solo incazzandosi come bestie. Nel mezzo ci sono poi i manifestanti in buona fede, quelli che davvero sono convinti che con una presenza più o meno assidua e numerosa in piazza si possano cambiare le cose. Io resto convinto che l'unica cosa che cambia, molto spesso, è solo il giro d'affari dei bar adiacenti le manifestazioni, ma, e lo ripeterò fino allo sfinimento, massimo rispetto a costoro: non mi permetterò mai di contestare la loro scelta.
Comunque io oltre ad arrivare sempre tardi sono anche scettico di natura, e se uno mi dice facciamo la rivoluzione, e non parlo di quelli degli spettacolini, parlo degli altri, la prima cosa che mi viene in mente è: per poi fare che? In genere qui le risposte sono tante e variegate, ma spesso si sintetizzano in un "cambiare tutto" che, scusate, ma non so se a me va tanto bene: ci sarà bene qualcosa che vale la pena di tenersi, penso, magari quell'altra paroletta, democrazia, che oggi qua funziona male, ma come idea non è proprio tutta da buttare, no? Se poi quelli che cambieranno tutto è gente che non si fa scrupolo di tirare sassate in testa al "nemico" (e meno male che siamo ancora fermi lì), sfasciare quello che gli capita a tiro con particolare predilezione per gli arredi urbani, tirare fuori dalle tasche verità assolute come fossero caramelle e indicare chi non si trova d'accordo con questi metodi come uno colluso al sistema, beh, io scusate ma di questi mi fido proprio per niente.
Per cui (e qui un bel chissenefotte ci può pure stare) io la rivoluzione non la voglio fare, ché per natura mi piacciono poco i cambiamenti climatici improvvisi figuriamoci quelli socioeconomici, e pure alle manifestazioni colorate finto autoconvocate a cadenze settimanali mi son rotto di starci dietro (ma questo s'era già capito). E questo (lo dico, perché qua pare che per forza devi essere o bianco o nero) non significa affatto che le cose mi vadano bene così, che non ritenga possibile un cambiamento. Lo ritengo possibile certamente, come questi nuovi rivoluzionari da corteo+aperitivo, ma il cambiamento che io mi auguro è soprattutto nella testa e nella coscienza della gente, e la differenza tra me e loro è che io non credo affatto che perché ciò avvenga sia necessario sfilare di continuo col rischio che a qualcuno prudano le mani, sfasci tanto per sfasciare e autorizzi quindi chi governa a tirare mazzate come gli capita, sia vere che metaforiche, cosa che tra l'altro avviene in maniera abbastanza puntuale, prevedibile e con il tacito consenso della maggioranza pecorona che di rivoluzioni e manifestazioni nulla ne sa e nulla ne vuol sapere.
Ad ogni modo il vero cambiamento alla fine penso avverrà naturalmente, e sarà come riguardare un video degli anni ''80: stupirsi cioè di poter essere stati e aver vissuto in quel modo. Avverrà, ne sono certo, nel momento in cui la maggioranza delle persone sarà arrivata a comprendere ciò che oggi credono in pochi, ma sarà per loro esperienza diretta, come lo è stato per gli altri, e non certo per le parole che uno può sprecare tempo a dire, o per le marce che uno può sfiancarsi a fare: mi spiace dirlo, perché mi ci metto pure io in mezzo, ma quelle servono solo a chi le dice e a chi le fa. E sarà buffo, una volta arrivati alle meta, vedere chi oggi attende la rivoluzione sperare ancora e sempre in un'altra.

3 commenti:

il Russo ha detto...

Che forse è questo il problema, il giorno che arrivasse sta benedetta e sacrosanta Rivoluzione più di uno si chiederebbe: e mò, ora che faccio?

Ernest ha detto...

il mondo è pieno di rivoluzionari dell'ultima ora. Quelli veri di solito non riescono a raccontare ciò che hanno fatto.

Blackswan ha detto...

La vera rivoluzione,Rouge,arriverà solo quando arriverà la fame nera.Accontentiamoci di qualche piccolo,ma significativo cambiamento...